domenica 17 novembre 2013
Nel mio piccolo ciclo di riletture sono arrivato a Primo Levi. Non ai libri più importanti, dedicati interamente ai Lager (a parte La tregua). Li ho letti troppe volte, segnano l'anima: e li ricordo troppo bene, malgrado il logorio della memoria. No, l'altro Primo Levi: quello mettiamo del Sistema periodico (che pure torna sulla Deportazione). E voglio indicare, qui, uno dei motivi del mio apprezzamento, non extraletterario (anzi!): la straordinaria intelligenza umana - umana, l'aggettivo giusto - di tante pagine. La capacità di comprendere e di trovare connessioni: fatta di cultura profonda e di intuizioni sorprendenti; rara, originale: e insieme viva delle qualità più vere della nostra specie. Ma nel leggere ho provato una grande pena: ricordando la fine di Primo Levi (suicida a 66 anni). Rammarico, rimpianto per la perdita subita dal consorzio umano, cui apparteneva quella ricchezza; e insieme pietà e amore per Primo Levi. Per lui come uomo, soprattutto. Nel 1997, a Buenos Aires, Biblioteca Nazionale J. L. Borges, ho ascoltato Giulio Einaudi raccontare la storia della sua casa editrice: quand'è giunto a parlare di Primo Levi gli è venuto da piangere, incontenibilmente. (Qualcuno mi aveva detto: «Piange anche per altri» - per Cesare Pavese, finalmente, quasi mezzo secolo dopo).
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: