mercoledì 30 marzo 2016
«Se il nostro vivere quotidiano non trova orizzonti di senso, diventa sopravvivenza e può trasformarsi in disperazione. Anche alla morte si può non pensare, come scriveva Pascal, ma ciò non significa che prima o poi essa non ci riguarderà». La riflessione di monsignor Carmine Arice, direttore della pastorale della salute della Cei, spiega perché la Chiesa insegni a perdonare. È una risposta duplice al male – con e senza M maiuscola –, che individua il legame profondo tra mondo spirituale e quello fisico. Perdonare, infatti, non è bene solo per i cristiani, tant'è che all'ospedale Fatebenefratelli di Brescia esiste una scuola di perdono. «Tutti abbiamo bisogno, in certi momenti della vita, di perdonare e di essere perdonati», spiega fra Marco Fabello, direttore dell'Irccs bresciano, che da anni studia i risvolti scientifici del problema. Così come è scientificamente dimostrato che l'accompagnamento spirituale del malato ha ricadute terapeutiche, le offese alterano il benessere psicofisico, producendo smarrimento, rabbia, vergogna... Con conseguenze devastanti, come alcool e droga. Per uscirne, bisogna imparare a perdonare e, poi, a riconciliarsi con chi ci ha offesi, coinvolgendolo in un cammino di revisione che farà bene a entrambi, conducendo a una migliore valutazione di sé e riducendo i livelli di ansia, rabbia e stress. San Giovanni di Dio, fondatore dei Fatebenefratelli, usava dire, nel Cinquecento: «Fratelli, fate il bene a voi stessi, dando l'elemosina ai poveri...» I suoi successori aggiungono: «perdonando...».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI