mercoledì 26 marzo 2014
Claudio Giunta (Torino, 1971) è professore straordinario di Letteratura italiana all'Università di Trento dopo essere stato visiting professor all'Università Mohammed V di Rabat, alla Asian University for Women di Chittagong (Bangladesh), all'Università di Sydney, all'University of Chicago, all'Università di Tokyo. Uno che conosce il mondo, insomma. Il professor Giunta, che è anche commentatore delle Rime dantesche, ha riunito sotto il titolo Una sterminata domenica (il Mulino, pagine 288, euro 16) dodici "Saggi sul paese che amo", paese che poi è l'Italia.È un tentativo, par di capire, di storia evenemenziale del costume, cioè un modo di raccontare e forse spiegare un contesto generale attraverso la trattazione di singoli eventi. (I sussiegosi autori degli Annales, intenti a elaborare spiegazioni globali dei processi storici, bollarono come Histoire évenementielle le ricerche degli storici di nuova generazione che si concentravano su accadimenti puntuali ritenendoli esemplari o simbolici). Giunta analizza, appunto, alcuni fenomeni di costume dai quali, forse, il lettore dovrebbe/potrebbe trarre sintomatologie più vaste. Sociologia? Letteratura? Non è facile dire. I casi esaminati sono di dubbia rappresentatività sociologica, e lo stile narrativo non è letterario: più che altro sembra trattarsi di giornalismo di costume scritto da un Arbasino un po' depresso, e a me non piace neppure l'Arbasino euforico.Di fatto, 23 pagine per raccontare una vacanza a Panarea sono un po' troppe, e 41 pagine riservate a Radio Deejay stroncano un lettore allenato come lo scrivente. Anche 23 pagine per Elio e le Storie Tese (la band è simpatica, ancorché volgare) sono emblematiche dei gusti di Claudio Giunta o poco più. Più ai libri che ai film di Paolo Villaggio sono dedicate 26 pagine, non proprio imperdibili. Per raccontare «il significato di Luciano Moggi», Giunta parte dai Trobriand della Melanesia studiati da Malinowski, ma pur prendendola così inutilmente alla lontana, arriva a una conclusione condivisibile, tanto più da uno juventino peraltro moderato come me: e cioè che Luciano Moggi è stato vittima del malcostume calcistico e del malogiornalismo, prima che della malagiustizia.Per dirla con candida spietatezza, Una sterminata domenica esprime la sterminata debolezza del pensiero debole. L'autore, infatti, non crede a niente se non ai suoi dubbi, e le valutazioni morali che inevitabilmente deve mettere in pagina («Non bisogna comportarsi così») sono asserzioni apodittiche appese al nulla. Lo si vede benissimo nel primo saggio della raccolta, dedicato al Meeting di Comunione e Liberazione, visitato da Giunta per quattro giorni, qualche anno fa (uno dei difetti del libro è che non mette le date a cui i vari capitoli si riferiscono o in cui sono stati scritti, conferendo al tutto un'aria di passato prossimo con un sentore di fragole andate a male). L'autore ci tiene a dire e ribadire «che non c'è niente in quello che [i ciellini] credono e dicono che io sopporti, che consideri degno di un essere umano pensante», eppure non può fare a meno di restare ammirato per il palpabile disinteresse dei volontari che lavorano per far star bene gli altri, avendo pagato il viaggio e il soggiorno a Rimini di tasca propria; per la cordialità con cui viene trattato chiunque si affacci al Meeting, quali che siano le sue idee su Dio e sul Meeting stesso; per la tangibile gioia che si legge sui volti accaldati di chi si dà da fare negli stand o nei punti di ristoro. Talché, alla fine, deve ammettere che «raramente, altrove, sono stato trattato così bene. Vero affetto, vera fraternità. Quando dicevo che non ero di Cl, quando si capiva che ero arrivato fin lì in po' con lo spirito di Zola a Lourdes, cortesia e cordialità non diminuivano né aumentavano. E non mi è parso che qualcuno simulasse». I suoi ospiti «sono stati, tutti, nessuno escluso, adorabili». Nonostante la diversità di idee, a Rimini si è trovato bene, e «la ragione è, detto in breve, che considero la verità molto meno importante della gentilezza». Non viene il sospetto che gli accoglienti riminesi siano così gentili proprio perché danno importanza alla verità?
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