venerdì 18 marzo 2016
Sto leggendo un romanzo molto torinese, pubblicato dalla casa editrice della Rai, la Eri, credo perché vincitore di un premio letterario in cui essa è coinvolta. Si tratta di Via Artom del quarantenne Alessandro Musto, che conosce bene Torino, la città dove è nato e lavora, e ne mette a confronto un ieri e un oggi con qualche forzatura, ma con molta generosità ed efficacia. Di questo romanzo mi ha subito colpito il titolo, perché conosco via Artom, una periferica strada torinese di casermoni, dove mi sono recato molti anni fa quasi in pellegrinaggio per via del suo nome e perché era abitata da un gruppo di immigrati meridionali che vi si erano accampati alla meglio. Emanuele Artom è una figura significativa della Resistenza torinese, un giovane ebreo di grandi speranze di cui ho sentito spesso parlare da chi l'aveva conosciuto, da Bianca Guidetti Serra a Gustavo Malan. Fu amico di Primo Levi e di sua sorella Anna Maria, di Luciana Nissim e di Franco Momigliano e di tanti altri. Commissario politico di Giustizia e Libertà in Val Germanasca, venne catturato nel grande rastrellamento del '44 e morì alle Nuove di Torino a seguito delle torture subite. Aveva 29 anni. Due suoi compagni furono costretti a seppellirlo senza tomba sulle rive del Sangone e via Artom è proprio lì, a un passo da quel torrente, ora ai margini di un parco. Il diario partigiano di Emanuele è tra i più belli lasciati da quegli anni di furia, e su di esso ha scritto con ammirazione e commozione Norberto Bobbio. Il romanzo di Musto intreccia la storia di Emanuele a quella di una giovane coppia di oggi, che si trova a vivere nella casa dove lui era cresciuto, e che si occupa dei giovani immigrati nella Torino di oggi. Ed ecco che via Artom si fa centro, nel mio immaginario, di tre momenti storici molto diversi tra loro: gli anni della Resistenza, che ho conosciuto dai racconti di chi l'ha fatta, e quelli del boom economico, che ho vissuto da dentro, come infine il nostro oggi confuso. Sono ben distinti i volti del giovane Emanuele nelle foto che si hanno di lui e quelli dei miei amici e coetanei del tempo della grande immigrazione dal Sud, ma questi ultimi, in uno strambo susseguirsi di immagini, somigliano molto a quelli dei giovani immigrati che si possono incrociare oggi a San Salvario o in altri angoli di Torino. Ed è di questo che Via Artom infine parla, di questo sovrapporsi di tempi e di storie, e di quanto queste storie possono avere in comune. Alessandro Musto ama la sua Torino e il suo passato, ne ama soprattutto i suoi volti di speranza e di disperazione, di ieri e di oggi, ed è questo ad attrarre del suo romanzo, questa sincerità e questa specie di devozione alla ricerca del giusto.
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