martedì 9 dicembre 2014
Leggo che Tommaso Ghirardi a Parma non era amato. Perché è di Brescia. Anzi, di Carpenedolo, dov'è la sua fabbrica (La Leonessa) e anche una squadra di calcio che portò fino alla C2. Forse non é vero che lo snobbassero, ma in ogni caso mi rendo conto che vi siano ancora nostalgici dell'era Tanzi, ricca di successi e emozioni. L'ultima, e la più forte, il clamoroso fallimento che ha coinvolto il Parma Calcio nel crack della Parmalat. Il glorioso club - salvato dalla caduta fra i dilettanti cambiando ragione sociale - fu dapprima gestito dal commissario Enrico “Nonridomai” Bondi finchè non arrivò a guidarlo il sempreridente Tommaso, un ragazzone di trent'anni appassionato di calcio che fece di tutto per ridar vita al club, per festeggiarne gioiosamente il centenario (1913-2013), per portarlo fin sulla porta delle Coppe che sette mesi fa gli fu chiusa in faccia per una inadempienza economica punita dalla Uefa con l'esclusione dall'Europa League che i crociati gialloblù avevano conquistato con sudore e sorrisi sotto la guida di Donadoni. Mea culpa, mi battei in difesa del Parma: non avevo capito che il mancato pagamento di quella tassa era solo l'inizio di un percorso a ritroso conclusosi con un'altra inattesa uscita, quella del presidente medesimo richiamato all'ordine - mi dicono - dalla mamma, Gabriella Pasotti, la vera “leonessa”, importante azionista dell'azienda di famiglia e del Parma stesso: “Tommaso, hai giocato, ti sei divertito, hai buttato un bel po' di quattrini, adesso basta”. A decretare la fine della storia una cinquantina di milioni di debiti e l'inesorabile richiamo dei genitori, che ho conosciuto, persone deliziose ma dedite al lavoro e, giustamente, al profitto. Hanno festeggiato anche loro i cent'anni del Parma, poi tutti a casa. Ora arrivano i russi col petrolio a Cipro, dicono, ma nessuno sa ancora chi siano. Ho sondato l'ambiente in profondità: non ho trovato nomi, nè petrolio. Prendo dunque atto che dopo gli americani di Roma (Pallotta & C), gli indonesiani di Milano (Thohir & Papà, una storia “alla Ghirardi”), i canadesi di Bologna e i cinesi di Pavia (presidente Xiadong Zhu, ceo Qiangming “David” Wang) stanno arrivando anche da noi i Nuovi Padroni del calcio, meno ricchi di Al Tani e Abramovic e tuttavia decisi a investire in Italia. Gli unici imprenditori che hanno risposto all'appello di Matteo Renzi. Per ora. Ben graditi ai tifosi che antepongono i quattrini alla patria pedata. A Roma - ricordo - accolsero con sospetto Dino Viola perchè era di Aulla («'Ndò sta?») ma che vinse un grande scudetto; a Bologna detestarono un veronese, Brizzi, che tuttavia salvò il club che ormai non faceva tremare nemmeno l'Emilia. Come dire: il calciomondo è cambiato, c'è un nuovo spirito di adattamento. A Napoli aspettano con ansia arabi e cinesi. Basta che abbiano soldi. Aggiungo: e che capiscano qualcosa, se non di calcio almeno di finanza. A proposito, sapete chi fu il primo presidente di un club italiano - il Vicenza - acquistato dagli inglesi della Stellican co. nel 1997 per 21 miliardi e 753 milioni? Paolo Scaroni, poi amministratore delegato dell'Enel e dell'Eni. Er Più.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI