venerdì 17 luglio 2009
Secondo suo stile - abito blu, cravatta blu, abbronzato ma non troppo, zero sudore, sorriso stampato, aria di chi ti dice "sono qui per necessità, sennò farei davvero a meno di incontrarti" - Franco Carraro l'altro giorno ha convocato la stampa al Circolo Aniene di Roma (presieduto dall'Altissimo Prezzemolo Giovanni Malagò) per comunicazioni urgenti. Ma non troppo. L'Aniene è uno di quei luoghi privilegiati dove si decidono i destini di persone che magari hanno in comune il tennis, il basket,
il golf, il calcio
o il bridge, persino il burraco o semplicemente la politica e da questo cocktail di passioni (si fa per dire) scaturiscono candidature e spesso nomine: presidenti, amministratori delegati, onorevoli, direttori di giornali. Capi, insomma. Quelli che da tempo chiamo i Padroni del Vapore. Parlava, Carraro, ai cronisti sudaticci, invitati per onor di firma, anzi, per impulso democratico, visto che Sky s'era presa la cura di mandare in onda il suo intervento in diretta e poteva evitare domande magari fastidiose. Perché il motivo della conferenza stampa era il soddisfatto annuncio: «Sono uscito da Calciopoli candido come un giglio», ovvero liberato da impacci dovuti alla giustizia sportiva e statale. A distanza di tre anni, Carraro ha voluto ribadire - sentenze alla mano -
la sua estraneità al Grande Imbroglio ma non ha voluto dimenticare la responsabilità oggettiva di certe scelte che un attento custode non avrebbe
mai dovuto fare. Molti hanno commentato: è l'addio; e anche quella citazione dei suoi settant'anni in arrivo lo giustificava. Per un attimo ho avuto la dolorosa sensazione di perdere il mio quarantennale (e coetaneo) interlocutore, anzi, il mio avversario di punta nelle battaglie istituzionali, con il rischio di ritrovarmi solo con una montagna di improduttivi ricordi, come capita in politica quando ti viene a mancare all'improvviso l'Opposizione (ehm, ehm). Ma una telefonata squillante in tutti i sensi mi ha rassicurato: Carraro - l'ex Giovin Signore del calcio - resterà nell'agone; e non da Grande Vecchio, come qualcuno teme, ma come Competente Unico o Volontario.
È bastata la sua battuta sull'assegnazione all'Inter del famigerato "scudetto di carta" del 2006 per sottolineare le assolute incompetenze altrui. Il vostro cronista raccontò subito in quell'occasione, il gran rifiuto dell'allora presidente federale Leandro Arpinati all'automatica assegnazione al "suo" Bologna (arrivato secondo) dello scudetto revocato al Torino nel 1926 per illecito sportivo: nei documenti c'è ancora scritto «revocato e non assegnato». Sportività e buongusto. Adesso, se proprio vuole, Franco Carraro, uomo di finanza, può provvedere a correggere un lontano errore federale: aver consentito la nascita di società calcistiche quotate in Borsa. Uno scandalo che dura da dieci anni.
Come ha ricordato l'altro giorno il presidente della Consob, Lamberto Cardia, parlando di «sensibilità esasperate» che dal calcio sono arrivate in Borsa. Lo dissi in quei giorni, ai federali e
ai politici, ma nessuno prestò ascolto al cronista vox clamantis in deserto (come direbbe Lotito). Ci pensi Carraro, Colui che sa.
E che può.
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