mercoledì 18 marzo 2015
Con tutto il rispetto per i tecnici vincitori dell'ultimo turno di campionato (Mandorlini, Mihajlovic e Montella), fanno notizia soprattutto gli sconfitti (Benitez, Garcia e Inzaghi) e non entro nel merito del duello Ventura-Pioli, salvo considerare la irresistibile ascesa della Lazio una componente inattesa del Dramma Capitale. Rafa, Rudi e Pippo sono infatti i protagonisti di tre rovinose cadute che coinvolgono milioni di appassionati abituati a scenari gloriosi improvvisamente travolti da sconfitte umilianti. La più vistosa è l'ennesima batosta incassata dal Milan a Firenze, accompagnata dalla ripetuta fiducia sfiduciata (o sfiducia fiduciata) di Inzaghi; così come ha sollevato stupore e dispetto la lezione inflitta dal Verona al Napoli, tenendo presente che la squadra veneta s'è privata di alcuni dei suoi migliori giocatori (vedi Jorginho e Iturbe) per rinforzare proprio azzurri e giallorossi. Ma la classifica delle delusioni è aperta inevitabilmente dalla Roma, da tutti candidata a sfidare la Juve e che, sconfitta dal "laziale" Mihajlovic, rischia addirittura di perdere il secondo posto in un imprevisto superderby da incubo. La rabbia dell'Olimpico - dove i giallorossi non vincono da sette partite - ha prima assunto toni d'immensa e un po' vile ingratitudine, coinvolgendo De Rossi, il fedelissimo tradito dalle generosità e da vicende extracalcistiche, eppoi Garcia che ha innamorato di sè Roma fino a quando è toccato a lui scoprire il secolare e periglioso palindromo Amor-Roma. Non faccio gossip, mi limito a sottolineare - come già feci tempo fa, ai suoi primi inciampi - la perniciosa romanizzazione di un ottimo tecnico apparso sulla scena come un dux da Fori Imperiali e trasformato dal ponentino in un personaggio da Teatro Sistina. Ho avuto modo di elogiarne le virtù di tecnico "all'italiana", non ho avuto l'occasione di spiegargli come Fabio Capello riuscì a domare la romanità immanente e a vincere uno storico scudetto. Oggi che la sua chiesa è tornata dal centro del villaggio alla periferia, Rudi sa che la sua stagione italiana è forse finita. La resistibile ascesa invece di Rafa Benitez, autodefinitosi Don Rafè al primo incontro con la napoletanità condito di sorrisi accattivanti e promettenti, è un più banale seppur esplosivo caso di suicidio tecnico/tattico operato nel dispregio di un minimo rispetto della fase difensiva purtroppo non compensato dal più potente attacco del campionato; per non dire dell'increscioso ripetuto turnover che a Verona ha raggiunto punte di ridicolo: sulla panchina, accanto a un Benitez che invece di seguire il match trafficava con un tablet, sedevano Higuain, Callejon, Gabbiadini, Zuniga e Insigne appena recuperato, ovvero un centinaio di milioni di invidiabili pedatori regalati a un modesto quanto generoso Verona. Esperto di fatturati, Don Rafè sta per firmare un bilancio fallimentare. Il "caso Inzaghi" infine non ha bisogno di ulteriori approfondimenti: la rovina del Milan gli è totalmente attribuita con punte di disprezzo; ovvie le sue responsabilità, ma più di lui è colpevole Silvio Berlusconi che ha perduto l'antica magia, prima allontanando professionisti affidabili e vincenti come Ancelotti e Allegri, eppoi improvvisandosi talent scout con la scoperta di panchinari inesperti e perdenti come Seedorf e Inzaghi. I suoi nostalgici seguaci gli suggeriscono ora di arruolare un nuovo Sacchi, ovvero Sarri, il bravo tecnico dell'Empoli che per ora si è guadagnato solo un deprimente confronto con Orrico. A proposito: perchè non ho inserito nel dramma anche Mancini? Perchè Roberto, castigato dal povero Cesena e punito dal confronto con Mazzarri, si è onestamente dichiarato sconfitto. Così fa un uomo. E per questo merita ancora fiducia.
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