martedì 2 gennaio 2018
Tra i personaggi del presepe popolare napoletano una delle figure che colpisce lo spettatore è l'immagine del cacciatore con l'arma in spalla mentre sta mirando un uccellino in volo collocato su un ramo di alberello secco. In alcune di queste scene il cacciatore è dotato di un fucile dalla forma grossolana, sfoggia un cappello con una grande piuma e indossa un tascapane a tracolla. Ad una prima osservazione la contrapposizione tra un personaggio apportatore di morte e il miracolo della vita che si rinnova nella grotta può generare un senso di imbarazzo. Ma se si va ad approfondire lo sguardo ci si accorge che l'immagine del cacciatore con l'uccellino è posizionata proprio per affermare il senso di pace che il mistero dell'Incarnazione ha prodotto in quella memorabile notte. Quella scena che al primo sguardo ci appare violenta nasconde invece un'intima e profonda adesione all'eccezionalità dell'avvenimento rappresentato: la nascita, sulla terra e nella storia, di Dio che si fa uomo e che annulla tutti i contrasti anche quello tra cacciatore e preda. Come descrive Sant'Alfonso in Quanne nascette ninne, il brano più importante della tradizione dei canti della Chiarastella, che ha ispirato molte delle immagini e dei personaggi presepiali:
"Non c'erano nemmice pe' la terra
la pecora pasceva co' lione
co' e' caprette se vedette
'o liupardo pazzea'
l'urzo e 'o vitiello
e co' lo lupo 'npace 'o pecoriello..."
Alla luce di questa prospettiva il cacciatore non ci appare più come un personaggio apportatore di morte ma una figura di vita, rigenerata, in pace con il mondo perché ha accolto il messaggio della buona novella annunciato dallo straordinario canto dell'uccellino, come riportato in un'altra strofa di Quanne nascette ninne:
"...e pressa se scetajeno l'aucielle
cantanno de 'na forma tutta nova
pe 'nsí l'agrille co' li strille
e zombanno a ccà e a llà
è nato è nato
decevano lo Dio che nci'à criato...".
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