mercoledì 23 marzo 2022
«Leggere dattiloscritti alla lunga stanca. Certo, leggere dattiloscritti riserva anche l'eventuale, rara, impagabile ricompensa della scoperta e questo miraggio o speranza è una sensazione che, quando si è provata, ti può far andare avanti per anni o addirittura per sempre, però stanca». La voce è di Antonio Franchini, per anni grande editor di Mondadori e, dal 2015, per Giunti. Questa voce risuona nei cinque racconti di Leggere possedere vendere bruciare (Marsilio, pp. 128, euro 15) dichiarazione d'amore per i libri da parte di uno scrittore cresciuto e professionalmente stabilizzato nei libri che racconta il proprio vissuto di maieuta di libri altrui. A p. 33 c'è una frase ritenuta importante (e lo è) tanto da meritare la quarta di copertina: «Ero a disagio, lo ero perché pensavo di sapere molto della scrittura, ma quello che in quegli anni di lavoro in casa editrice stavo imparando è che la scrittura è un mercato. Non necessariamente un turpe mercato, ma un onesto, decoroso, sofferto mercato. Che la scrittura sia invece un chiuso bisogno, una necessità istintiva, dolorosa, irriflessa, che sia un atto necessario che non porta a niente se non a sciogliere un'oppressione, a sfibrare una pena, questa verità elementare me l'ero dimenticata». Già, la differenza del libro visto dall'autore o visto dall'editore. Sì, perché i libri bisogna venderli e «non crederete mica che un libro si venda perché è bello». Tocca all'editore navigare in un mercato così mutevole, sussultorio come il mercato librario, fra gli scogli delle rese (gli invenduti restituiti dai librai) e lo spauracchio del macero. Da qui i lai degli autori i cui libri se non vendevano «la colpa non era mai loro, della loro arte: era della pubblicità che ad altri era stata fatta e a loro no, era di un'efficace copertina che altri avevano avuto e loro no, era di una recensione che un critico invidioso o vile ad altri aveva fatto e a loro no, era di un premio letterario al quale altri erano stati mandati e loro no». Nel libro ci sono aneddoti curiosi, personaggi stravaganti. Un po' impietosa la valutazione di Carlo Sgorlon, collezionista di grandi premi e rapidamente dimenticato. Chi esce molto bene nelle rievocazioni è Ferruccio Parazzoli, del quale Franchini è stato junior editor per quattro anni. Perfetta la descrizione di un meeting a Vienna di funzionari editoriali, venditori di libri (quelli che devono convincere il libraio a mettere bene in mostra i libri dell'editore per cui lavorano), autori e redattori: una via di mezzo tra la riunione di lavoro e la gita premio. Protagonista è il napoletanissimo Procolo Falanga, che ebbe la sincerità di dire al vecchio Arnoldo Mondadori che gli chiedeva se la gloriosa Medusa, celebre collana di narrativa, si vendeva: «'A gloriosa Medusa! E quando mai s'è vendita 'a gloriosa Medusa! Perché, vuie ata capi'… 'e libri, nun è che non si vendono mo'. 'E libri nun se so' venduti maie…».
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