martedì 24 giugno 2014
Monferrato, 22 giugno. Bisogna andarci dentro, a queste colline, nell'ora più calda dei giorni attorno al solstizio, per tuffarsi dentro l'estate. Per berla, quasi, come acqua fresca in una giornata bollente; per inebriarsi del profumo di fiori di campo, di tiglio e di polvere, che sale dalle strade riarse.Colline verdi o del colore dell'oro, nei campi di segale imbionditi dal sole; e dolci, e morbide come un corpo di madre. Colline come onde di un antichissimo mare, solidificate in un istante remoto alla parola di un Creatore. Scendo per la sterrata che porta nel prato grande. Che gran silenzio a quest'ora, mentre il sole sale degli ultimi gradi edecco, è allo zenit, e da lassù irraggia trionfante. Chiudo gli occhi e come quando ero bambina vedo il rosso vivo della luce abbagliante, che filtra attraverso le palpebre. Estate, finalmente; e, in questa solitudine, come mia interamente.I passi lenti sui sentieri svelano un mondo. Le more acerbe e dure fra i rovi, e le ciliegie selvatiche che luccicano come gioielli. I girasoli non sono ancora fioriti, ma lo stelo è già alto e forte, e la corolla leonina si prepara a schiudersi. Mi incanta il tronco contorto di un vecchio gelso, mastodontico e come impietrito dagli anni: quanti solstizi d'estate, e quante gelide notti d'inverno sono rapprese nella sua grinzosa corteccia? La terra, anche, argillosa, spaccata da giorni senza pioggia, mi affascina con le sue crepe – come rughe su una faccia di vecchia. Sembra così povera e secca, mi dico, eppure con che abbondanza genera. Sulle viti l'uva ha gli acini duri e verdi, ma già in piccoli grappoli perfettamente formati. È come una gravidanza che matura questa stagione, acerba ancora, ma vorace a nutrirsi di tutto il sole e il caldo dell'estate – per quando, l'autunno avanzante, partorirà la vendemmia.Silenzio ancora, e solo voci di merli e cornacchie da un capo all'altro della collina. Il rapido frullio d'ali di una gazza che fugge. L'aria che scotta, il ronzio degli insetti e, in cielo, grasse nuvole oziose: sfaccendate, in quest'ora di trionfo di luce. E mentre torno verso casa con la sete che brucia la gola mi sfiora una folata di vento; e come scompiglia, fresca, le chiome degli alberi. Mi fermo a ascoltare, certa che, se solo sapessi la lingua degli alberi, potrei capirne le parole. Al vento si agitano le giovani piante di granoturco, e vibrano di una lucente, infinita gamma di verdi. Nell'ora più calda, sulla terra che scotta, il solstizio d'estate è bello come un miracolo. Nel silenzio ogni cosa testimonia, misteriosa eppure evidente, la mano di un segreto tessitore.
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