domenica 10 luglio 2016
Erano gli anni di piombo. Sartre, che aveva già ottenuto e respinto al mittente il Premio Nobel, era sceso a Roma, oramai cieco, per ridire sulle libertà civili. Venne fatto cadere da qualcuno delle forze dell'ordine e la notizia apparve in quattro righe nelle pagine interne dei giornali. Il '68 era stato come un dipinto del Caravaggio, giocato fra luci e buio fondo. Ero contrario alla violenza ma testimone dei fatti sì, il che comporta dei rischi personali. Supplente in un istituto superiore, avevo l'età dei miei ragazzi. Quando ci fu uno scontro interno alla scuola fra studenti e polizia, ne vidi di tutti i colori. Forse la mia aria, senza scomodare Mozart, da convitato di pietra, mi ha preservato. In piazza del Duomo fu diverso. Le forze dell'ordine avevano circondato il luogo. Le bombe lacrimogene fioccavano ed eravamo tutti come al fondo di un acquario di fumo nero. Dante avrebbe saputo descrivere bene. In Piazza della Scala, il pensionato Tavecchio ebbe la faccia sfondata da una bomba e morì. Eppure dovevo esserci. La storia, credo, non è solo da leggere. Le sculture di Pogliaghi della porta centrale del duomo ma anche quella del Minerbi e del Minguzzi erano una processione che attraversava l'inferno. Pace e violenza, ignavia e coraggio si lambiscono escludendosi a vicenda.
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