venerdì 28 ottobre 2005
Il mondo ricompensa più spesso le apparenze del merito che non il merito stesso" Il male che facciamo non ci attira tante persecuzioni e tanto odio quanto ce ne procurano le nostre buone qualità. È stato spesso ospite di queste nostre riflessioni. Ora lo ritroviamo in un volume intitolato La fatica di diventare migliori (ed. Paoline): si tratta della raccolta delle Massime di quel grande scrittore moralista francese del Seicento che fu La Rochefoucauld. Ecco due sue osservazioni molto amare ma, purtroppo, anche molto veritiere. Entrambe toccano la perversione dei giudizi che la società pratica molto allegramente. Da un lato, c'è appunto il giudizio sul merito delle persone: non bisogna essere particolarmente pessimisti per riconoscere che è l'apparenza ad essere premiata e non certo il valore genuino. Tutto questo poi è favorito dal contesto in cui viviamo: mai come oggi è l'apparire a spuntarla sempre, è la capacità di imbonimento e di ornamento ad avere la meglio. D'altro lato, quasi come in un corollario, un altro fenomeno sconcertante è davanti agli occhi di chi scruta in profondità la società: spesso si è pronti a comprendere e a perdonare i vizi di una persona (essi ci fanno, infatti, sentire superiori) ma non si riesce a tollerare la statura morale, il rigore, l'intelligenza di un altro. Siamo inclini a dipingere quell'onestà come ipocrisia, come inganno, come vantaggio personale e forse inzuppiamo il pane nella tazza dell'ironia, della critica, della mormorazione. Verità amara quella di La Rochefoucauld che ci costringe a un esame di coscienza severo, anche perché - per citare un'altra sua frase - «le nostre virtù spesso sono solo vizi mascherati».
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