sabato 12 novembre 2016
«In Paradiso ti portino gli Angeli!». Preghiera personalissima, e... senza offesa. Ieri il saluto di folla a Umberto Veronesi, qui spesso in passato citato anche in dissenso, ma sempre con rispetto e stima per il suo "servizio" per gli altri come medico. In tema giovedì sul "Corsera" due cose. 1. A p. 23 questa sua citazione: «Ateo, Sì. Ma è un termine che non mi piace, perché vuol dire "senza Dio", e io non ho le prove per negare l'esistenza di Dio». 2. Dentro 4 pagine intere con migliaia di ringraziamenti da persone da lui «curate», e spesso guarite: si parla di 50mila. E idem su altri giornali: una folla di "grazie".
Ancora: suo in una collana per la "Studium" sulle Opere di misericordia il volume su "Curare gli ammalati". Malati: in situazioni difficili, a volte difficilissime. Li ha curati. Erano, per usare un termine del Vangelo, «mezzi morti» come il viandante del Buon Samaritano (Lc. 10, 30), e anche «fratelli ultimi tra gli ultimi» (Mt. 25, 40) sulla sua strada di medico e spessissimo li ha salvati. In Paradiso? Lui non credeva in Gesù Cristo Dio, ma non credevano anche quelli che nel Vangelo Dio accoglie "benedetti" in Paradiso. E neppure lo conoscevano, ma nei fatti lo avevano riconosciuto negli affamati, nei prigionieri, e anche nei malati. Forse qualcuno dirà ("Corsera" ieri (p. 18) che Lui «alla fine ha rifiutato le cure».
E allora? Il rifiuto dell'accanimento terapeutico è del tutto lecito, e forse nessuno meglio di Lui ne conosceva le condizioni di opportunità. Ha «curato» migliaia di «fratelli ultimi tra gli ultimi», e quindi a me, e credo non solo a me, viene spontaneo ricordare quel »Lo avete fatto a me!» (Mt. 25, 41) cui in fin dei conti – quelli veri! – «tutto si riconduce», come spesso ricorda Francesco a chi cerca altrove l'identikit dei discepoli di Gesù, che riconosce i suoi...
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