venerdì 14 febbraio 2003
Io tremo davanti a questa situazione: oggi il massimo potere si unisce al massimo vuoto; il massimo di capacità va insieme col minimo sapere riguardo agli scopi ultimi della vita. Parole taglienti che incidono come una lama nel burro di una società sempre più roboante, untuosa, grassa, autosufficiente eppure intrinsecamente vacua e molle, inconsistente e solo appariscente. A dirle una quindicina d'anni fa è stato il filosofo e storico delle religioni Hans Jonas (1903-1993), un tedesco naturalizzatosi americano. Egli era partito studiando uno dei fenomeni più intellettuali del mondo classico e dello stesso cristianesimo delle origini, la gnosi, una spiritualità rigidamente separata dalla storia, dalla "carne" e dalla materia. Jonas era poi approdato ai grandi temi morali che egli vedeva calpestati dalla tecnica, centrando il suo discorso soprattutto sul "principio di responsabilità" (è il titolo stesso di una sua opera del 1979). La sua accusa risuona in modo intatto anche ai nostri giorni nei quali si assiste spesso a un esercizio enfatico e muscoloso del potere, unito però a una povertà e a una debolezza estrema di valori morali. Si insegnano tutte le tecniche immaginabili per il benessere ma non c'è la minima nozione dell'essere autentico e intimo. Si conosce tutto sulle mode e sui modi di vita e si è del tutto ignoranti sullo scopo ultimo dell'esistenza e sulle grandi risposte dello spirito. In questo "massimo vuoto" dovrebbe più spesso risuonare la voce forte e chiara delle religioni che non si devono rassegnare alla dissoluzione ma annunziare i valori ultimi, il senso della vita, la realtà intima della persona.
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