mercoledì 7 febbraio 2018
Fa sempre notizia, ogni anno, il paniere Istat, con l'elenco dei prodotti che servono a misurare l'inflazione. Sono 1.489 voci, dove la parte alimentare ha un certo peso. E quest'anno sono entrati di diritto il mango e l'avocado, ma anche i vini liquorosi.
Questo paniere, tuttavia, sembra perennemente in ritardo. Che sia stata tolta la telefonia pubblica (e chi se la ricordava più?) sembra pleonastico, mentre quei vini liquorosi fanno pensare all'ascesa dei Vermut e alla rinascita del bere miscelato, più che ai vini che nel proprio disciplinare hanno anche la menzione di liquoroso (ossia addizionato con liquore). Su mango e avocado (a quando la papaya e il goji?) c'è invece da fare una riflessione, perché quei frutti esotici sono addirittura consigliati dai dietologi per una serie di valenze nutrizionali che altri frutti non hanno (o non avrebbero).
Come si è arrivati a questo successo, che è poi coinciso con un'azione certa: l'acquisto sistematico? I fattori sono diversi, ma certo la comunicazione sul cibo è diventata non solo invasiva, persino veloce. Oggi molti sanno cos'è il platano (la cosiddetta banana da cottura) e quali virtù ha; lo si è scoperto alla tv, o magari lo ha preparato qualcuno che proviene dal Sudamerica e abita le nostre comunità. Quindi la somma fra attenzione mediatica, contaminazione di altre culture alimentari e analisi nutrizionale ha prodotto cambiamenti nelle abitudini non di piccoli gruppi, bensì di un'area sempre più vasta di consumatori.
La scorsa settimana a Unomattina è stato intervistato un ragazzo di Longobardi, paesino in provincia di Cosenza, che ha spiegato come è stato possibile non abbandonare il suo paese e il centro storico, dove vivono una cinquantina di persone. Lui ha aperto una degusteria all'interno del suo «Bar dello Sport», che è anche tabaccheria ed edicola. Ma ha portato in auge l'anona, che è un altro superfrutto prodotto a Reggio Calabria e ha proprietà nutrizionali fantastiche. E lì mi s'è accesa una lampadina: possono vivere i centri storici se riescono a fare un patto con la nuova agricoltura. Quella della distinzione, quella che non produce più per le commodities, ma per un mercato sempre più consapevole.
E non è un caso che proprio in Sicilia o nel nostro Sud – che ha climi assai caldi – siano già partiti gli impianti di produzione del mango e dell'avocado, così come del goji. Qualcosa di profondo sta mutando, ma la mutazione è sempre il frutto di chi s'accorge del cambiamento, elaborando un'informazione. E a questi giovani, pionieri del cambiamento, occorre guardare. Un governo dovrebbe farli propri per non correre il rischio di arrivare in ritardo, parlando a una realtà che è già cambiata da molto tempo.
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