mercoledì 5 ottobre 2016
Questo fine settimana a Castegnato, in provincia di Brescia, si accende la 21esima edizione di Franciacorta in Bianco, fiera dedicata ai formaggi migliori. Che sono poi quelli prodotti negli alpeggi di questa ottima estate e che, dopo una giusta maturazione, sono pronti all'assaggio. Ma ogni anno gli umori del mondo lattiero caseario che si ritrova davanti al pubblico sono diversi. Erano periodi bui quelli di due anni fa, quando le stalle chiudevano sotto lo scacco di un prezzo del latte mortificante e nelle piazze di tutta Italia la protesta degli allevatori si era fatta sentire. Oggi si intravedono segnali di ripresa, a fronte di molte aziende del Nord Europa che hanno ridotto i volumi da mungere. E già si immagina che nei prossimi tre mesi la produzione continentale scenderà di un milione di quintali. È la legge della domanda e dell'offerta: se scende la produzione salgono i prezzi, ma poi c'è la battaglia per conquistare il giusto prezzo all'interno della filiera. Quando aumenta un prezzo c'è sempre qualcuno che paga (il consumatore) e qualcun altro che guadagna. E stranamente non è mai l'allevatore. Per questo gli animi si stanno scaldando di nuovo e la notizia che sulla piazza di Verona il latte è stato pagato fino a 40,7 centesimi il litro, sta provocando sentimenti di rivendicazione in altre parti, dove il prezzo è tra i 30 e i 35 centesimi. Ma di fronte ai flussi di prezzo e alle ondulazioni, a volte si dimentica l'aspetto della qualità, che invece è il vero mantice che può consolidare quel punto di non ritorno. Il consumatore di oggi è assai più accorto di quello di ieri, tant'è che l'esperimento attuato in Piemonte di marchiare i prodotti lattiero-caseari con "Piemunto" ha provocato un aumento di vendite del 60% nei punti vendita Carrefour e Crai. Un segnale che va nella direzione di affermare che il latte non è più una commodity, ma un prodotto che può avere una sua distinzione. E se la distinzione evoca il territorio, il consumatore si sente più sicuro, persino partecipe di quella filiera che non è certo una faccenda di latte in polvere che arriva da chissà dove. Su questi esempi virtuosi, tuttavia, ci vorrebbe un progetto ministeriale che coinvolga tutto il Paese, per assecondare quell'esigenza di qualità e di chiarezza che i consumatori richiedono. Sarebbe un cambio di marcia auspicabile: da una politica che si occupa delle emergenze, a una politica che progetta come affermare la qualità delle sue produzioni di base. I tempi meno turbolenti, dal punto di vista economico, dovrebbero proprio servire a queste riflessioni. Chiudono ancora le stalle italiane? E se la risposta è no, possiamo sapere quale sia la novità, ma soprattutto come evitare di ritrovarsi le vacche in piazza che vengono munte per disperazione?
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