venerdì 1 dicembre 2017
Di Alessandro Leogrande, morto improvvisamente poche notti addietro a soli 40 anni, ha già scritto su queste pagine con affetto e conoscenza Cosimo Argentina, che ne ha condiviso idee e azioni. Io gli sono stato al fianco per molti anni nel lavoro quotidiano della redazione di una rivista, “Lo straniero”, che decidemmo insieme di chiudere circa un anno fa, dopo vent'anni di vita. Io ne ero il direttore e lui il vicedirettore. Gli proposi anni fa di esserne insieme condirettori, ma protestò che la rivista aveva il mio marchio e la sua impostazione era dovuta alla mia esperienza. C'erano tra noi quarant'anni di differenza, e credo di essergli stato utile a conoscere un certo passato minoritario e degno del paese e le persone che ancora potevano rappresentarlo, ma nello stesso tempo anche a conoscere molti della sua generazione che furono assidui collaboratori, su vari campi, della rivista. C'era insomma una continuità, e ho sempre considerato come uno dei principali scopi di una rivista, forse il primo fra tutti, fosse quello del passaggio di testimone, del dialogo tra le generazioni, aperti a quelle che verranno. Idee e ideali, esperienze e modelli. Non è vero che tutto si perde, che il dialogo è impossibile, è vero che così come si trasmettono i modelli del compromesso, dell'accettazione, della ruffianeria, dell'egoismo e del narcisismo, in definitiva della menzogna agli altri e a se stessi, possono trasmettersi anche quelli contrari. Sono spesso minoritari - a volte, in certi periodi della storia, molto minoritari, come in definitiva mi pare accada nel nostro tempo - ma non scompaiono mai del tutto neppure nelle epoche più dure; sempre hanno continuato a esserci persone gruppi riviste che si sono assunti il compito della trasmissione. Ma poiché si impara più da quel che viene fatto che da quel che viene detto, i modelli viventi contano a volte più delle parole scritte. Nel caso di Alessandro c'è stata certamente la scelta e il dialogo con il meglio della sua generazione, ma per quanto riguarda da chi imparare, con chi intellettualmente dialogare, c'è stata la felice ricerca di un rapporto diretto con le persone degne di oggi insieme allo studio dei maestri del passato e al confronto con quelli del presente, più difficili da individuare soltanto se ci si accontenta delle mode e non si va più a fondo. I maestri utili a capire (e contrastare) questo presente ci sono, ma bisogna cercarli, e non sempre è facile se si è soli di fronte alla furia delle mode, della pubblicità, dell'accademia più sterile chiusa su se stessa, del giornalismo malato di superficialità e, infine, del pressapochismo politico. Dovessi dire quali sono i personaggi del passato le cui idee mi è capitato di discutere con più passione con Alessandro, i nomi sono quelli di Gaetano Salvemini, per l'impronta meridionalista che Alessandro ha saputo dare a tutta la sua esistenza, e di Alexander Langer, che lui non ha potuto conoscere, per l'idea centrale per Alex di voler costruire ponti tra parti contrastanti.
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