venerdì 22 novembre 2002
Il fine e la causa finale della musica non dovrebbero mai essere altro che la gloria di Dio e la ricreazione della mente. Se non si bada a questo, in verità non c'è musica, ma solo grida e strepito. Un'antica antifona latina (Cantantibus organis) ha contribuito a trasformare santa Cecilia, martire romana, in patrona della musica. Oggi la ricordiamo sotto questo profilo attraverso la testimonianza del massimo tra i musicisti, Johann Sebastian Bach. Tra i suoi ammiratori ci fu anche il teologo e filantropo Albert Schweitzer: è appunto nella sua opera
J.S. Bach che trovo citato questo monito che il celebre compositore di Lipsia indirizzava ai suoi allievi. Egli alle sue partiture imponeva la sigla S.D.G., cioè Soli Dio Gloria, convinto che la musica avesse come scopo la glorificazione divina e, in finale, spesso aggiungeva J.J., cioè Jesu Juva, "Gesù, aiuta!". Sono molti gli spunti che le sue parole ci offrono, a partire dall'amara constatazione sulla musica sgraziata che troppo spesso si eleva a Dio anche nelle nostre chiese. C'è, poi, la cattiva (o inesistente) educazione alla musica all'interno delle nostre scuole. C'è la degenerazione della musica, non di rado ridotta solo a "grida e strepito", generatrice di alienazione e di eccessi. Ma al di là di tutto questo, Bach ci invita a ritrovare l'armonia come segno teologico e umano. La musica ci può aprire una finestra sul divino e sul mistero e può trasfigurare la mente e il cuore. «Dove c'è la vera musica, non ci può essere cattiveria», diceva Cervantes nel Don Chisciotte.
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