sabato 7 marzo 2015
L'incontro con il console generale di Romania in Milano mi ha fatto riaprire il vecchio album della memoria sui fatti che avevano avvicinato la nostra famiglia a questo Paese, che prima di riacquistare la libertà aveva dovuto superare guerre, dittature e povertà. Mi piaceva, quando ero bambina, sentir raccontare da mia nonna che viveva in Trentino, allora parte dell'Impero austro-ungarico, come avesse nascosto il suo figlio più giovane in una grande cesta della biancheria e spedito con l'ultimo treno che doveva superare il confine in modo da non da non essere costretto a combattere contro l'esercito italiano. Pensò così di averlo salvato, e Carlo, pieno di iniziative dopo aver terminato gli studi e girato l'Europa, trovò lavoro e casa in Romania. È questo l'unico Paese del Sudest europeo, spazio delle lingue slave, dove si parla una lingua di origine latina. Gli eserciti romani infatti, guidati dall'imperatore Traiano, nel 101 d.C. avevano occupato il territorio che avrebbe preso più tardi il nome di Dacia Felix. La sua storia è come una tavolozza variopinta da tante dominazioni – turchi, greci, sassoni, russi – il cui passaggio, tanto variegato, ha lasciato lingua e abitudini diverse, assieme ad una incredibile moltitudine di chiese, di monasteri, di luoghi di culto rupestri ed eremi impreziositi da splendidi affreschi. La presenza del grande Danubio, che ha già attraversato dieci Paesi, ora si fa più spettacolare, precipitando nelle gole selvagge di questa regione. Si potrebbe dividere la storia recente di questo popolo in due grandi periodi della politica contemporanea: quella della monarchia e quella della dittatura comunista. Ma certo non di questo parlavamo, il piccolo cugino che mi era stato consegnato per un periodo di vacanze al lido di Venezia ed io che godevo di questa insperata ed elegante offerta dallo zio venuto dalla Romania. Dall'aspetto ancora giovane, passeggiava sulla spiaggia fotografando le belle ragazze che portavano i primi costumi moderni, mentre io a sedici anni mi sentivo ancora come il brutto anatroccolo delle favole. Non sapevo quanto dolore ci fosse in quella piccola famiglia, dove la mamma era mancata alla nascita del figlio, la guerra aveva distrutto ogni proprietà e tutto era da ricominciare in una Italia dal futuro incerto e difficile. In una cappella del cimitero di Borgo ci sono i nomi anche di chi non vi è più ritornato: Magda, la mamma rumena, Pino, lo zio soldato mancato in Russia, e mamma Francesca, che riposa in un modesto loculo a Roma. In questo Paese è vissuta la grande famiglia, è giusto che i loro nomi siano ricordati qui dove si sono amati.
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