giovedì 24 maggio 2018
Nel mondo dei mercanti nulla è più spaventoso dell'innocenza. Fare tutto per nulla, dare senza contraccambio, essere e basta, ignorando perfino che si possa avere, possedere qualcosa. Un individuo del genere, se mai esistesse, diventerebbe subito una minaccia all'ordine costituito della partita doppia e del ragionevole profitto. L'intero sistema, scuole comprese, è orientato a sventare la minaccia di una simile esistenza incondizionata e gratuita. Ma non ogni dettaglio è governabile. Ecco dunque che il 26 maggio del 1828 compare per le strade di Norimberga un ragazzo di circa 17 anni, che riesce appena a pronunciare il proprio nome: Kaspar Hauser, ovvero «il fanciullo d'Europa», come fu definito abbastanza presto da una lunga tradizione pubblicistica (un paio di anni fa Elliot ha riproposto uno dei migliori romanzi mai scritti sul tema, originariamente pubblicato da Jakob Wassermann nel 1908).
Quella ripresa dal regista tedesco Werner Herzog è dunque una vicenda reale e anche già abbastanza nota, che presenta analogie superficiali con altri celebri casi di identità smarrita – si pensi, in Italia, al cosiddetto "Smemorato di Collegno" – e nello stesso tempo annuncia cronache ancora più inquietanti. Dalla nascita fino al momento in cui è stato rilasciato, Kaspar è stato prigioniero in una cantina, senza nessun contatto con il mondo al di fuori delle visite di un uomo sempre intabarrato in un mantello nero. Il ragazzo, però, non è un idiota. Anzi, nel film di cui Herzog è anche sceneggiatore e produttore, Kaspar non è neppure un ragazzo. Nel ruolo del protagonista troviamo infatti il misterioso Bruno S., che all'anagrafe risponderebbe al cognome di Schleinstein, un quarantenne dal passato tormentato e solo in parte riscattato dall'indubbio talento di pittore e musicista. Nel 1970 la sua storia ha già ispirato a Herzog un importante documentario, che può essere considerato come un incunabolo dell'Enigma di Kaspar Hauser che nel 1974 contribuisce al consolidarsi della fama del cineasta tedesco.
Come molte altre figure del cinema di Herzog (si pensi ad Aguirre, furore di Dio e a Fitzcarraldo, rispettivamente del 1972 e del 1982, interpretati entrambi da Klaus Kinski), Kaspar è una creatura votata all'assoluto, irriducibile alle convenzioni della società in cui si trova a vivere e che non per niente, di primo acchito, cerca di tenerlo a bada trasformandolo in un'attrazione da circo. Ma il più illuminato professor Daumer (l'attore Walter Ladengast) lo riscatta dal direttore del baraccone (Willy Semmelrogge) e prova a impartirgli un'educazione alla quale Kaspar si dimostra straordinariamente recettivo. Il redivivo impara a leggere e a scrivere e, in breve tempo, affronta dispute sulla propria identità e perfino sull'esistenza di Dio al cospetto delle autorità riconosciute, non escluse quelle ecclesiastiche. Nulla di tutto questo, però, gli permette di scoprire qualcosa sulle sue origini, né sui motivi della reclusione di cui è stato vittima. Kaspar sa solamente che ogni tanto, in sogno, è visitato da un'inspiegabile e quasi ineffabile visione di libertà e di bellezza, che prende l'aspetto di una carovana di beduini in marcia nel deserto.
La sua fine non sarà meno insondabile: un uomo dal mantello nero, che potrebbe essere il suo stesso carceriere, lo ferisce a morte, impedendo per sempre la soluzione dell'enigma che il film ha elevato a potenza, facendo coincidere personaggio e interprete. Bruno S. non si limita a recitare la parte di Kaspar Hauser, ma ne assume su di sé, amplificandoli, il fascino e lo scandalo. Non sa chi è, il fanciullo d'Europa, ma sa che ognuno di noi non può fare a meno di essere. Per questo la sua presenza è tanto fastidiosa.
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