martedì 22 giugno 2021

Barcolla ancora oggi nelle immagini in bianco e nero. Barcolla ma non molla l’unico uomo che negli occhi di tutti ha vinto le Olimpiadi senza vincerle. Dorando è il suo nome, storte le gambette, 1908 l’anno di grazia, e Londra la sede di quei Giochi. Ma è di un paese vicino a Carpi il garzone del fornaio che per esserci si allena di notte. È lui che stravolto di fatica entra per primo nello stadio Olimpico dopo 42 chilometri e spiccioli: la faccia spiritata sopra a un corpo disossato dalla sofferenza. Dorando Pietri è l’essere meno somigliante

a un atleta che i Giochi abbiano mai prodotto, mulina gli arti come un automa, con la bava alla bocca, atroce parodia della maratona che è forza e resistenza. Entra in pista e sbaglia direzione, ha gli occhi rivolti in alto perché non riesce più a muovere il collo, inciampa. Inservienti premurosi lo girano di peso ma a 30 metri dalla gloria cade di nuovo. Intorno al relitto umano si forma un capannello di ansiosi: «È morto!», gridano. Non è vero, ma quasi. Lo rialzano. Tante mani lo sorreggono fino al traguardo.

Troppe. Pietri per questo viene squalificato, vince chi arriva dopo di lui, l’inglese Hayes, ma non se lo fila nessuno. È Dorando l’eroe.

Sir Conan Doyle, l’inventore di Sherlock Holmes, lo celebra sul

Daily Mail e organizza una colletta

con cui Pietri si comprerà poi una panetteria. Lo celebrano canzoni, racconti, film. Con la sua corsa sbandata, a un paio di centimetri dalla morte, nasce la certezza che per entrare nella storia, bisogna uscire dalla cronaca. Solo così uno scheletro d’uomo e la sua sconfitta possono diventare leggenda.

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