sabato 21 agosto 2010
19 agosto 1954. A Sella di Valsugana muore Alcide De Gasperi. Una lunga fila di gente del paese e dei dintorni attraversa il grande prato in silenzio con qualche lacrima sul viso, quasi avesse perduto un parente e un amico. Tutti portano un fiore di campo, dei ciclamini, dicono una preghiera, ci stringono le mani, a noi che abbiamo occhiali neri per nascondere la devastazione del pianto. È gente che lo ha accompagnato nei boschi alla ricerca dei funghi, che lo ha visto passeggiare in questa piccola valle felice dove i rumori sono quelli della natura: il canto o il grido degli uccelli, lo schianto dei rami dopo una pioggia, l'alito fresco del vento. Tutte cose che oggi abbiamo dimenticato di ascoltare mentre ci priviamo della loro bellezza e del conforto che esse sanno dare quando l'anima è stanca. Quel giorno nella chiesa di Borgo la gente smarrita si rende conto per prima che ha perduto il padre di tutti. Due giorni più tardi il grande funerale, attraverso la città di Roma, trascina una immensa folla a seguire il feretro quasi non fosse la sua fine, ma il suo trionfo. Anno dopo anno, nella ricorrenza di questo 19 agosto gli uomini politici si fanno presenti alle messe solenni a Roma, a Trento. Alti prelati, grandi corone di fiori ornano bellissime chiese. Poi, come succede a un grido nella montagna che l'eco ripete prima forte, poi sempre più piano e si perde in lontananza, così di anno in anno, le presenze importanti cominciano a diminuire, le chiese ad essere di minore prestigio, la gente un po' distratta. E finalmente oggi siamo qui, seduti su un prato assieme ai suoi veri amici ad ascoltare ancora una volta quelle parole forti di cui abbiamo bisogno: «Anche un economista incredulo, un sociologo scettico, quando nelle ore grigie della storia alza lo sguardo all'orizzonte alla ricerca di una salvezza che non scopre nei suoi calcoli o nelle sue leggi, scorgerà sempre l'immensa figura del Cristo protendersi sul mondo... Giacché senza la sua vivificante potenza tutte le più radicali trasformazioni economiche e sociali saranno opera vana». Quattro clarinetti, all'ombra dei faggi accompagnano questa lettura con la musica di Böhm, di Mozart, di Bach. È di nuovo la sua gente che si riunisce accanto alla piccola chiesa dove egli andava a pregare che lo ricorda nel modo migliore, ascoltando rileggere le parole che questo padre di tutti ha lasciato perché ancora sia possibile il rifiorire di una politica e di una vita civile più seria, più serena, più forte. Questa piccola valle che è stato il suo rifugio nei tempi della persecuzione, il suo riposo negli anni del grande lavoro della ricostruzione, ha avuto pagine di poesia e d'amore profondo che un giorno gli faceva scrivere: «Io non posso immaginare Sella che nel sole. Rivedere i miei quarzi scintillanti nell'acqua d'argento, smarrirmi solo e libero nel silenzio del bosco, re immaginario di un immaginario regno, poi risalire alla superficie verde e ondeggiante come un lago, scorgendo di lontano quali due corolle vive, i due fiori delle mie bambine». Il 19 agosto 1954 nostro padre era ritornato nel suo regno per morire.
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