venerdì 5 agosto 2016
È già il quarto anno di guerra e la Repubblica federale di Jugoslavia non esiste più. La pulizia etnica non smette di decomporre la vita quotidiana di croati cattolici, serbi ortodossi, bosniaci musulmani, rom e altre minoranze; la violenza registra picchi inauditi per efferatezza che nessuno ha mai più voluto immaginare dalla fine della Seconda guerra mondiale, i campi di concentramento e lo stupro etnico ne accentuano traumi e dolore.Zagabria e Belgrado incitano il loro popolo inaugurando rassegne e mostre espositive dove sono incasellati gli orrori compiuti dai nemici, tra inni nazionalisti ustascia e bandiere di nostalgica memorabilia cetnica. L'Europa è lontana. Capita, però, che le fotografie che riproducono scene di massacri di inermi civili e villaggi rasi al suolo che sono veri film dell'orrore, siano sempre le stesse. Cambiano le didascalie, ma non la strategia: incitare all'odio reciproco. Il diverso da te è da annichilire.Riti arcaici, violenza primitiva, vendette e crudeltà, strumenti di tortura che sembrano uscire da un lontano Medioevo, bagnano di sangue l'Europa, e intanto il terzo "incomodo", Sarajevo, che era la Gerusalemme dei Balcani per moschee, chiese e sinagoghe, continua a subire e a patire il supplizio di un lungo assedio dei cecchini serbi che non esitano a sparare sugli inermi, anche i più piccoli. La Bosnia Erzegovina è un bottino che fa gola pure ai croati. Il vecchio ponte Ottomano, di pietra bianca, a Mostar, simbolo dei secoli passati, era già stato sbriciolato a cannonate da un ordinario soldato croato.È estate e ragazzini appena maggiorenni, capelli corti, quasi tutti con l'orecchino d'argento al lobo di un orecchio, com'è di moda, e che sembrano appena usciti da una festa in discoteca da qualche parte lungo le spiagge e i golfi della costa balcanica del mar Adriatico - come succede sulle nostre spiagge -, in mimetica da guerra, si accomodano il mitra alla spalla destra e marciano per raggiungere la prima linea. Molti non torneranno indietro.La guerra non è un film, dove belle e soavi musiche sanno evocare emozioni forti, oppure armonizzano ancor di più l'eroismo del protagonista durante le scene clou di un combattimento dove tutto è finto. In guerra la vera colonna sonora è sempre quella composta dal rumore delle armi vere, dagli scoppi, dalle raffiche di mitra, dalle urla e dalle imprecazioni pesanti, dalle grida di chi chiede aiuto e dal battito del cuore che pompa adrenalina e dalla devastante paura che prende chiunque, quando si è davanti alla morte vera: perché eroi lo si diventa sempre per dovere di sopravvivere a qualcun altro che dovrà invece soccombere. La guerra non è mai bella ed eroica come la raccontano i film.Quell'estate del 1995, luglio, alla periferia di Tuzla, in un campo contadino che man mano si riempiva di disperazione e pianti, incontrammo Hassan Boric, 26 anni, del II corpo d'armata bosniaco. Erano già sei giorni che scappava senza mai voltarsi indietro, sfinito e stracciato, portava negli occhi la tragedia di una piccola enclave che invece di essere protetta dai caschi blu della Forza di protezione delle Nazioni Unite, un bivacco di soldatini in canottiera, fu spalancata alla follia di un generale dei miliziani serbi, Ratko Mladic. «Un uomo non può credere. Quello che ho visto vorrei poterlo strappare dai miei occhi come un foglio di carta. L'alito fetido del demonio si è posato su chi non è riuscito a mettersi in salvo dal massacro di Srebrenica. I feriti hanno scelto di uccidersi con una bomba a mano sul ventre, piuttosto che cadere prigionieri...».Ricordare il crepuscolo di Srebrenica, che ancora oggi ci riconsegna il ritrovamento di fosse comuni, forse ci può anche spiegare molte cose del tempo corrente, ma di sicuro ci dice che nessun essere umano possiede in sé un tale desiderio di odio e morte, se non gli viene inoculato come veleno.
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