sabato 12 novembre 2016
Chi percorre in automobile l'A1 diretto verso nord, a circa 80 km da Roma vede apparire d'improvviso Orvieto, quasi una fortezza naturale aggrappata a un grande piano di tufo. Il duomo meraviglioso custodisce il corporale del miracolo di Bolsena e il prezioso ciclo di affreschi del Giudizio universale di Luca Signorelli.
Oggi la nostra meta è il convento dei cappuccini sulle colline di fronte alla città; costruzione abbandonata e lasciata per alcuni decenni all'incuria con grave danno alle strutture antiche, ai dipinti, agli affreschi che decoravano le sale dei frati. Finalmente nel 1990 venne chiesto a padre Gianfranco Chiti di stabilirsi nel vecchio convento ed occuparsi di restaurarlo.
Ma chi era questo frate dalla barba bianca e dall'aspetto militare e deciso? All'ingresso ci offrono un breve volume con la storia di quest'uomo che per vent'anni aveva conosciuto gli orrori della seconda guerra mondiale, prima sul fronte croato-albanese e poi in Russia. Giovanissimo aveva scelto la carriera militare interpretando i diversi ruoli della sua personalità mai contraddittori anche nella loro diversità di soldato, combattente, educatore e infine frate cappuccino. Portato più all'azione che alla teoria, al vivere insieme più che alla solitudine, all'impegno di essere utile più che a una vita tranquilla, affrontò con serietà la disciplina militare.
Uomo di pace coinvolto nel turbine della guerra per disciplina e per difesa della patria, ricorda nei suoi appunti anche il risvolto umano quando due eserciti si incontrano per uccidere. «Quando eravamo in Russia noi e quelli dall'altra parte ci cantavamo delle canzoni talvolta assieme quando le buche scavate nella neve erano vicine. Erano aneliti di umanità, poi tornavamo bestie. Si stava nelle buche per non morire di freddo (42 e 43 sotto zero), ma si doveva dare il cambio ogni dieci minuti ai compagni che facevano da sentinella».
La disciplina, ma anche il coraggio, l'aiuto a chi aveva paura, il conforto a chi era stato ferito: tutto questo aveva salvato in Gianfranco Chiti, anche negli orrori della guerra, l'animo cristiano del perdono e della pace. Il 10 ottobre 1978 scrisse ai familiari dal convento dei cappuccini di Rieti: «Lasciato il servizio attivo nell'esercito, ora passo al servizio del più potente dei Re, con una fiamma che in me arde e non ha incertezze». Nell'uscire dal convento avevamo con noi un piccolo libro con la vita di questo soldato straordinario morto nel 2004 con l'abito da frate e la barba bianca.
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