lunedì 4 maggio 2020

Entrato nell’Ordine dei domenicani nel convento di San Domenico di Fiesole, che fu quello del Beato Angelico, mi fu insegnato che la cella – la camera di un frate o di un monaco – doveva essere per me quasi come il cielo. Cella quasi caelum tibi sit, ossia l’orizzonte in cui pregare, lavorare, studiare e rimanere con sé stessi.
Con il confinamento prima e ora con il parziale deconfinamento, mi sembra che questa massima sia offerta a tutti. L’orizzonte per tanti rimarrà ancora la propria camera, il proprio appartamento, la propria casa. Per questo l’abitazione, come la cella, deve diventare il nostro cielo. Gli antichi, i Padri, non si sbagliavano, quando davano questo insegnamento. Una volta che ci si è abituati, il fatto di poter stare in cella diventava e ancora diventa la cifra di quanto si sappia rimanere concentrati, raccolti, in tensione spirituale. Se si vuole uscire da quella camera ad ogni istante, allora una malattia spirituale intacca l’anima.
Adesso è il contrario, il virus ci deve saper mantenere in camera, nelle nostre abitazioni, anche se inizia il deconfinamento (la famosa Fase 2). Perché non fare di necessità virtù? Anche se si può uscire perché non continuare – non penso certo ai bambini – a rimanere nella propria casa? Se pensiamo che nel Medioevo e fino a tutta l’epoca moderno, l’Europa si sia ispirata al ritmo monastico, i conti tornano. Non solo il ritmo, ma anche lo stile della civiltà europea è quello monastico. Il beato Giovanni Dominici, un altro domenicano, diceva che una famiglia deve ispirarsi alle regole monastiche per essere ben governata. Certo parlava secoli orsono, eppure in questi tempi più di una famiglia ha sicuramente avuto un ritmo simile a quello dei monaci. E a dir la verità non solo nel cristianesimo cattolico vi è stata questa tensione forte verso l’ideale monastico.
L’islam si è ispirato a un'immensa comunità di monaci. Un grande studioso, Burckhart, ebbe a dire che nell’islam la vita monastica non esiste – e non esiste effettivamente – perché tutta la società è costruita sull’idea di una vita monastica valida per tutti. I muezzin richiamano alla preghiera cinque volte tutti i fedeli, nessuno escluso. Un musulmano, in questi giorni, inizia la sua preghiera e la sua giornata di digiuno verso le 4 della mattina nell’area di Roma (gli orari cambiano in base alla luce del sole), un orario davvero monastico se si considera che per cinque volte scandisce la sua giornata con la lode al Dio unico. E per tornare ancora alla tradizione domenicana, si dice che un domenicano avesse per chiostro il mondo e per cella il cielo. Lo sguardo cioè deve essere rivolto al mondo intero per evangelizzarlo, sapendo che il cielo è la propria cella. D’altro canto, santa Caterina parlava della cella del cuore. Dove voglio andare a parare? Non lo so, ma sicuramente nella cella… che può diventare il cielo.

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