martedì 22 luglio 2014
«La vista delle stelle mi fa sempre sognare, come pure mi fanno pensare i puntini neri che rappresentano sulle carte geografiche città e villaggi. Perché i punti luminosi del firmamento ci dovrebbero essere meno accessibili dei punti neri della carta di Francia?». La correlazione immediata indica un'anima fuori dell'ordinario. Da sempre l'uomo contempla le stelle, ma qui, in una delle lettere scritte al fratello Theo, Van Gogh va oltre la contemplazione, per natura appagante: nelle loro luci vede un disegno, una mappa, che vorrebbe simile a una carta geografica. Come con questa noi partiamo e possiamo raggiungere città e villaggi, seguendo quei punti luminosi noi dovremmo viaggiare nelle regioni del cielo. Non magicamente, come immaginano Ariosto e tanti poeti, no, naturalmente. Le sue sono parole di un mistico, che sente il cielo come propria dimora, al pari della terra. Gli pare un limite incomprensibile non seguire quella mappa luminosa e non camminare nel mondo celeste. Molti conoscono i cieli stellati del grande pittore, e da queste parole semplici e traboccanti si comprende come egli guardasse quel cielo di Arles: Van Gogh era a disagio confinato esclusivamente su questa terra, questa era la ragione della sua perenne sofferenza. La compresenza con il cielo, e l'impossibilità di viverci, subito pienamente.
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