mercoledì 8 febbraio 2017

La notizia che i prodotti per vegani sono entrati nel paniere dell'Istat ha fatto il giro di tv, giornali e radio, fino alle chiacchiere al bar dello sport. E rappresenta la novità della settimana, accanto all'aumento di frutta e verdura, che ha toccato l'apice proprio questa settimana. Essere vegani in questi giorni rischia dunque d'essere molto costoso, quasi un lusso, ma non è questo il problema. Piuttosto lo è l'effetto mediatico che ha accompagnato questa news, facendo diventare la scelta vegana qualcosa di normale come prendere un caffè. Ora, da sempre è abitudine di chi scrive osservare i fenomeni con grande rispetto e attenzione. E la crescita del cosiddetto popolo vegano, secondo i recenti dati Eurispes, parla di un passaggio dall'1 al 3 per cento in un anno, mentre scendono i vegetariani, che sono al 4,6% e segnano una diminuzione importante del 2,5.

Come sono da leggere questi dati? I vegetariani sono diventati vegani? Oppure ognuno va per la sua strada e il popolo vegetariano ha segnato il passo? In ogni caso sono numeri ridotti se rapportati al totale della popolazione, ma l'Istat ha intercettato un trend in crescita, anche se non proprio un'esplosione. Tuttavia qual è il pericolo delle notizie che si sono rincorse questa settimana? Appunto la presa d'atto che la dieta vegana è una come tante, che rimane alla mercé di un fai da te, come se non avesse implicazioni. E mentre si continua a citare casi di bambini con alcune carenze, addiritturadi animali domestici, la verità è che la classe medica sembra essere presa in contropiede. Si legge tutto e il contrario di tutto: dal "non si può fare" al "si può fare". Ma con quali accorgimenti?

La notizia del paniere Istat credo debba portare a una massiccia informazione, perché altrimenti si sottace un pericolo. Niente contro chi sceglie la dieta vegana, intendiamoci, ma una verifica di come il proprio fisico reagisce sembra regola doverosa, non solo per il capofamiglia, ma per tutti coloro che ricadono in quella scelta. Regola che andrebbe "istituzionalizzata", non solo per favorire una certezza, ma anche per un problema di rischio sanitario che ricade su tutta la collettività. Eppure non si legge nulla in tal senso, o forse ci è sfuggito, in una società che affronta sempre e soltanto le emergenze, ma non si cura della prevenzione. Sembra di vedere la medesima epopea dei cuochi o aspiranti tali, le cui aspettative vengono alimentate dall'esposizione mediatica che non cessa il suo corso. Si aprono o si sogna di aprire locali, ma difficilmente si guarda al piano economico, frutto magari di una indagine di mercato, che vale anche per un piccolo esercizio. Anche la scelta vegana avrebbe bisogno di un masterplan salutistico. Ma chi ce lo dice, mentre impazza il fai da te?

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