martedì 24 marzo 2020
«È il calvario del clero diocesano» ("Avvenire" domenica 22/3, p.17). Ne scrivono i colleghi Ognibene e Sartori. Calvario! Il giorno dopo ("La Nazione", p.10) fa eco Gianni Panettiere. Don Bruno, un prete amico, mi diceva che le vittime sono decine: preti "prossimi" anche a chi ha trasmesso loro il messaggio di morte. Quale senso può avere, oggi, questo particolare di una vicenda del genere? "Espresso" in edicola: a tutta p. 14 mi colpisce l'immagine di due infermieri che hanno tra le braccia un morente intubato e lì sopra "spunta" il volto addolorato di Maria che nella Deposizione di Michelangelo ha tra le braccia suo Figlio, cadavere. Morire da soli? Per i preti vivere da soli è anche un'abitudine che ha la sua storia, ma non lo è, meno che mai, morire da soli! E non vale solo per i preti. Colpa che si rinnova e si moltiplica anche senza virus.
Ancora "Espresso" (10-13) pagine pensose del Direttore. Leggi: «Non chiudiamo anche il pensiero (...) Mai come adesso è necessario stare vicini, contaminarci», e quindi essere "prossimi". Vale solo per la vicenda Coronavirus? Forse, anzi senza forse no! Chi per grazia prende sul serio quel cadavere tra le braccia degli infermieri – sempre "prossimo" anche alla luce di Quello tra le braccia di quella Donna sa che – nel "polmone" di vita che è la nostra realtà di creature, e figli, ha fatto irruzione un "Soffio" (Ruàh in ebraico) di speranza eterna. Quel volto addolorato di Maria che accoglie il figlio morto è tale nella certa speranza della resurrezione sua e nostra: Lui è risorto e risorge per tutti quelli che lo hanno riconosciuto e lo riconoscono nel "prossimo". Siamo sempre lì, come dice Francesco. Matteo 25: chi "riconosce" Dio nel prossimo anche senza prima "conoscerLo" entra nel Regno. Non chi credendo di conoscerLo a menadito non lo ha riconosciuto in quello stesso "prossimo". È il nucleo di tutto.
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