martedì 17 ottobre 2017
«Ci dev'essere un giudice a Berlino», diceva speranzoso tra sé e sé il mugnaio Arnold di Postdam, nella Prussia settecentesca di Federico il Grande. Si narra che cercasse soddisfazione contro i soprusi subiti e contro i magistrati corrotti che gli avevano dato ripetutamente torto. Alla fina la ottenne rivolgendosi direttamente al sovrano. Adesso un giudice, più esattamente un procuratore, c'è anche a Lussemburgo, una delle capitali storiche dell'Europa, con l'obiettivo di fare giustizia delle truffe e delle malversazioni inflitte al bilancio comunitario, e quindi ai contribuenti dei 20 su 27 Paesi membri che finora hanno deciso di dotarsene.
Per la verità questo cacciatore di eurofurfanti non c'è ancora in carne e ossa, neppure
in scrivanie e computer. Ma ci sarà, se la vecchia Unione Europea saprà resistere per i prossimi due-tre anni alle spinte disgregatrici. Sarà infatti verso la fine del 2020 che comincerà ad operare concretamente l'EPPO, immancabile acronimo inglese dell'"European Public Prosecutor's Office", che in italiano si può rendere come Superprocura europea antifrode. Intanto il dado politico e giuridico è tratto, perché il Parlamento di Strasburgo l'ha lanciato definitivamente il 5 ottobre, approvando con 456 sì, 115 no e 60 astensioni la risoluzione che l'istituisce.
La novità è rilevante, verrebbe da dire clamorosa per il segnale in controtendenza che lancia: un magistrato penale, con il potere di inquisire direttamente, anche di arrestare, i sospettati di crimini nell'uso dei fondi comunitari, colpendo frodi, corruzione e imbrogli transfrontalieri sull'Iva. Poteri esercitabili in tutti gli Stati aderenti all'iniziativa di "cooperazione rafforzata". Tra questi: l'Italia, all'inizio tentennante perché sperava di più, assieme a Germania, Francia, Spagna e Belgio. Mentre sono ancora "fuori" l'Olanda, la Polonia, l'Ungheria e l'Irlanda. Ma secondo le regole di Nizza, potranno sempre unirsi al gruppo.
Finora tutto questo non era giuridicamente possibile e il pur efficace lavoro investigativo dell'Olaf (l'Ufficio della Commissione di Bruxelles diretto da Giovanni Kessler) doveva sempre fare i conti con le singole competenze territoriali. Accanto al Procuratore Capo "centrale" incaricato del coordinamento, nell'EPPO agiranno inquirenti delegati, uno per ciascun Paese, che manteranno il ruolo di magistrati nazionali, ma nella loro veste comunitaria saranno svincolati dalle singole gerarchie
giudiziarie statuali. Sarà insomma una squadra di "eurotoghe" in piena regola, strettamente collegate tra loro e in grado di affrontare la sfida di reati che non conoscono frontiere.
La posta in gioco è economicamente cospicua (le frondi ai danni dei fondi Ue negli ultimi anni sono state calcolate in non meno di mezzo miliardo di euro), ma è giusto sottolineare soprattutto la portata simbolica di un primo esempio di giustizia esercitata "in nome del popolo europeo". Si giustificano perciò i toni esultanti di alcuni commenti successivi all'approvazione dell'Europarlamento. Per esempio quello di Caterina Chinnici, che ha parlato di «una svolta storica» e di «uno dei maggiori progressi mai compiuti dalla Ue in campo penale».
Proprio il nome della figlia di Rocco Chinnici, il Capo dell'Ufficio Istruzione palermitano ucciso 34 anni fa da Cosa Nostra, dopo che aveva ideato e avviato il "pool" antimafia, suggerisce l'auspicabile futuro sviluppo del traguardo appena tagliato a Strasburgo. In fondo è stata proprio l'Italia a offrire l'esempio, ormai da un quarto di secolo, dando vita alla Superprocura nazionale antimafia (la Dna), che dal 2015 ha acquisito competenza anche contro il terrorismo interno e internazionale. La sequenza di attentati che ha funestato tante capitali e città europee, così come episodi di vero e proprio terrorismo mafioso "in trasferta" (si pensi alla strage di Duisburg), dovrebbero consigliare iniziative analoghe, e altrettanto coraggiose, anche contro la piovra mafiosa e le minacce fondamentaliste.
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