mercoledì 24 settembre 2014
Una delle considerazioni più interessanti contenute in Mover. Odissea contemporanea di Michele Silenzi (Liberilibri, pagine 208, euro 12,00) riguarda il reale e il virtuale: «Non c'è nessun reale e virtuale. Reale è quello che percepisco, che mi influenza e mi cambia. Io sono reale. I cambiamenti che avvengono su di me, sulla mia pelle sono reali. È reale tutto ciò che mi colpisce, che sia un cartone animato, un movimento azionario, un nuovo software, l'aggiornamento di Skype, il lampione contro cui vado a sbattere, un post su Facebook, il nitrito di un cavallo, un tweet, un martello con cui pianto un chiodo, il chiodo, l'aggiornamento del mio profilo LinkedIn, l'albero che cade nel bosco, il video uploadato su YouTube».Non si poteva descrivere meglio la mutazione antropologica che le nuove tecnologie stanno operando sull'uomo iperconnesso e iperinformato per il quale reale e virtuale sono intrecciati e indistinguibili: «Arrivo a New York e la conosco da sempre», avendone esplorato storia, paesaggi, musei attraverso internet: «Qui nulla mi stupisce se non il fatto che ho ricordi chiari di un posto che vedo per la prima volta».Mover è lo spirito del nostro mondo ipertecnologico, incarnato nel narratore che, come il giovane autore (1986), si occupa di investment banking a Milano, a Londra, a Shanghai e altrove nel mondo. È l'homo oeconomicus di John Stuart Mill che però adesso dispone di computer, tablet, iPhone ultimo modello e sempre connessi. Libertà senza limiti, se non quelli che il soggetto ha scelto di imporsi; niente Stato, niente scuola che livella verso il basso qualità ed eccellenze; la vita è lotta, concorrenza, consumo, ricchezza, nell'ecosistema del mercato. Niente morale, niente conoscenza: basta un metodo (in internet sono disponibili tutte le conoscenze), e «l'unica cosa certa sono le azioni, le cose che facciamo».Detto così sembra in parodia, ma le osservazioni di Silenzi assai spesso colpiscono nel segno, sia quando parla del terrorismo antitabagico, o della “sensibilità” come scusa per ogni insuccesso, oppure dell'ecologismo e dell'animalismo stolto: «Fonte di angoscia per l'umanità non può essere la fiacchezza sessuale del panda: la mancanza di testosterone del maschio e la brevità del ciclo di ovulazione della femmina. Se non vuole accoppiarsi lasciatelo in pace. Lasciatelo sparire. La vita è fatta per scomparire e rigenerarsi. È così che progredisce e si evolve».Questo simpatico scalatore cibernetico (yuppie rampante, si diceva una volta), in contatto anche con «l'eschimese che fa rimbalzare il segnale del suo iPhone su un'antenna norvegese e carica il video di sé stesso sulla slitta», trasmette però un impressionante senso di solitudine. Mover è solo. Mover non sa amare. Frequenta occasionalmente bordelli a Macao, non ha bisogno di giustificazioni morali per aiutare qualcuno: «Non lo faccio perché è giusto aiutare qualcun altro. Lo faccio perché sento che è quello che voglio fare». È strano, tutti quei contatti, tutto quel reale/virtuale intrecciano un bozzolo fittissimo di solitudine, dal quale ben difficilmente sbucherà una farfalla. Eppure Mover dalle parti di Bakersfield, in California, attraverso l'autoradio aveva sentito da un predicatore locale che «il dono ci educa e ci avvicina a Dio. Il dono è il luogo in cui individui sconosciuti entrano in contatto e creano il luogo aperto in cui Dio può fare la sua comparsa. Dio è avanti, alla fine di questa strada. Dio non è più una guida ma una meta». Già, ma ormai Mover è arrivato, «Amen to that». Non ha più tempo per ascoltare, non ne ha mai avuto per amare.
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