mercoledì 19 dicembre 2018
Annik Paternoster e Francesca Saltamacchia hanno intitolato Le leggi della cortesia una loro spigolatura fra i libri di bon ton di fine Ottocento (Interlinea, Novara 2018, pp. 160, euro 12), che non fa né ridere né sorridere. Manca, nella presentazione dei brani e nei brani stessi, quella levità che rende amabile quel discettare di forchette, di bicchieri, di come ci si deve comportare in viaggio: l'antologia risente della propria origine, che è una ricerca svolta nel 2014 da Carlo Ossola e Andrea Ricci, professori presso l'Università della Svizzera Italiana, sulla "Nascita della cortesia contemporanea nella trattatistica comportamentale italiana dell'Ottocento". Ecco, è quel sentore di accademia ad appesantire l'antologia, è quell'aria mesta che emana dalle xilografie di paesaggi montani o lacustri svizzeri, stampate su carta disadatta. La foga di questi galatei nasce dalla volontà della nuova borghesia di adeguarsi agli usi degli aristocratici o addirittura, ancora più su, all'etichetta delle dinastie regnanti. Ma sotto sotto si intuisce la domanda che nessuna vera signora o signore si farà mai, e cioè: «Come si comporta una vera signora (o un vero signore)?». I trattatelli di buone maniere erano prevalentemente scritti da donne, perché l'emancipazione femminile va di pari passo con l'emancipazione della borghesia. Le autrici hanno spesso un doppio cognome: Anna Vertua Gentile, Caterina Pigorini Beri, Barbara Ronchi della Rocca, oppure pseudonimi fantasiosi: La Marchesa Colombi (Maria Antonietta Torrini), Mantea (Maria Carolina Luigia Sobrero); la stessa Matilde Serao, grande giornalista e fondatrice di giornali, per scrivere di bon ton usava lo pseudonimo "Gibus del Mattino", anche se in quella veste, stando ai brani dell'antologia, appare in tono minore. Nonostante i quasi centocinquant'anni di distanza, le regole della buona educazione non sono molto cambiate, improntate al buon senso, alla cortesia, al rispetto degli altri. In fondo, il Galateo di Giovanni Della Casa (1558), e il Cortigiano di Baldassarre Castiglione (1528) sono tuttora le fonti principali. E certi utili strumenti di cui siamo ormai in pochi a desiderare il revival, erano rimpianti già nell'Ottocento: «Per chi non lo sapesse – scriveva Anna Vertua Gentile nel 1897 – ora è tornato di moda il poggia-coltello, che deve essere di cristallo o d'argento secondo la disposizione della mensa». Utilissimo consiglio, anzi, ordine perentorio di Alfonso Bergando (1882): «Non adoperate stuzzicadenti, uso molto indecente... Nell'alzarvi da tavola prendetene uno e quando siete nella vostra stanza e solo, servitevene quanto e come vi fa piacere». Tra le scrittrici moderne di Galateo, insuperata resta Irene Brin (1911-1969), snob anche nello pseudonimo che Leo Longanesi le aveva inventato (all'anagrafe era Maria Vittoria Rossi). La sua intelligenza, la sua ironia hanno conosciuto tentativi di imitazione inesorabilmente smascherabili. Profondamente colta, fondò nel 1946, col marito Gaspero del Corso, la galleria dell'Obelisco, crocevia di artisti italiani e stranieri. Bisogna leggere Irene Brin per cogliere la differenza fra la moda e lo stile.
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