giovedì 7 settembre 2017

Guardavo una delle immagini del celebre artista contemporaneo moldavo Victor Safonkin: un omaccione incredibilmente grosso con fucile a tracolla (pronto per essere puntato), che obbliga uno spaventatissimo bambino a leggere il testo di un enorme libro. Il titolo Dogma, lascia intendere la vena polemica dell'artista: certe verità dogmatiche dettate da dittature del pensiero non ammettono dibattito, né tantomeno dialogo (come non pensare al dittatore coreano?). Un'immagine vista mille volte ma che in questo preciso momento mi giunge come nuova. Quasi rivelatrice. Stavo, infatti, preparando un incontro per la giornata della cultura ebraica che, in tutta Europa, si celebra il 10 settembre. Il tema, legato alla diaspora ebraica, è: “Tra identità e dialogo”. Parole forse abusate che però rappresentano uno dei nodi della comunicazione moderna. Qualcuno, anche recentemente, ha irriso il tema dell'identità relegandolo quasi a linguaggio mitico per coloro che sono nostalgici di misure e culture sociali ormai in via di estinzione. Sarà, ma niente quanto il mistero della storia giudaica insegna la preziosità dei due termini. Senza identità non c'è dialogo e senza dialogo di quale identità si può parlare?


Ascoltavo casualmente una lezione talmudica su “Rabbi Yochanan and Resh Lakish” due grandi rabbini del terzo secolo. S'incontrano sulle rive del Giordano, il primo già affermato maestro, l'altro brigante e avventuriero. Sperando nella conversione del secondo, il primo gli promette in moglie la sorella a patto che s'impegni nello studio della torah. Resh Lakish accetta e giunge a ragguagliare il Maestro a tal punto da diventare con lui fondatore della scuola accademica di Tiberiade (dove oggi gli ebrei ortodossi hanno la loro principale sede). Quello che sorprende di questi due maestri, come della cultura che permea le Yeshivot (scuole rabbiniche e talmudiche), è il gusto profondo per la discussione e per la dialettica in cui, si ha un tale rispetto per la verità, che nessuno giunge ad aver interamente torto o interamente ragione. Scopo della discussione è, del resto, far emergere la pluralità degli aspetti della realtà senza per questo giungere a una sintesi. Quando morirà Resh Lakish, a causa tra l'altro di una discussione con Rabbi Yochanan che fu per entrambi offensiva, quest'ultimo non troverà più nessun discepolo che di fronte alle sue dissertazioni gli opponesse delle obiezioni. I discepoli che gli vennero proposti, anche i migliori, non facevano altro che comprovare affermativamente le sue tesi, ciò porterà Rabbì Yochanan a una disperazione tale da morire sconsolato.
Che c'entra tutto questo con Victor Safonkin e il suo bambino terrorizzato? C'entra sì. Siamo in una società dove pare sempre più difficile contraddire, porre questioni, aprire dibattiti per il gusto sincero della ricerca della verità. Oggi, obiettare sembra offensivo e non costruttivo. In realtà, come insegna la cultura ebraica, stare nel dibattito educa a maturare un'identità capace di pluralità e forte di fronte ai totalitarismi di pensiero (spesso farciti di dogmi imposti come quello dipinto da Safonkin) che sono sempre più diffusi e striscianti. Che il tema di questa giornata culturale ci possa aiutare a riflettere adeguatamente su come la diaspora ebraica continui a esistere, nonostante gli sconvolgimenti della storia, grazie appunto al fecondo binomio di identità e dialogo.

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