venerdì 7 dicembre 2012
Tornano insieme la Juve Europea e Antonio Conte. La Signora esattamente dopo tre anni dalla sconfitta subita l'8 dicembre del 2009 dal Bayern di Monaco nel vecchio stadio di Torino; il Tecnico dopo centoventuno giorni di squalifica inflittigli per il coinvolgimento nel Calcioscommesse. È il trionfo di una squadra e del suo tecnico, resuscitati insieme per la scelta felice - e fortunata - di “risposarli” dopo sette anni, il periodo che si dice sfavorevole alle unioni amorose e che in questo caso ha, invece, riacceso la passione fra la Juve e il suo vecchio capitano che negli anni Novanta avevano conquistato cinque scudetti, una Coppacampioni, una Coppa Intercontinentale e una Supercoppa Europea. Juventino vero, Antonio Conte, per palmares e carattere: centrocampista da combattimento scoperto da Trapattoni ed esaltato da Lippi fino all'esaurimento delle energie fisiche nel frattempo sostituite dall'esperienza che lo rivela tecnico di qualità ad Arezzo, Bari, Bergamo e Siena e, dunque, pronto rientrare in Casa Agnelli. E fu subito scudetto. È una dedica - questa - che faccio con simpatia e ammirazione all'uomo intravisto per mesi - dietro una vetrata velata dalla pioggia o dai sospiri - dibattersi come un pesce fuor d'acqua, agitarsi come uno che sta affondando nella palude, inviare segnali con muta disperazione o far segni di croce pieni di speranza. Ho sempre creduto nella sua innocenza ma questo è un pensiero tutto personale; ora che ha espiato la pena ha il diritto di tornare a giocare e uso il termine nella sua accezione basilare, ovvero a divertirsi. Pochi rammentano che il calcio è divertimento, che i calciatori ritrovano pienamente se stessi quando rincorrono il pallone, e lo toccano, l'accarezzano o colpiscono duro senza esser schiavi di moduli ma dell'istinto che contiene - checché se ne dica - il naturale esito della vittoria. Ecco, dunque, le apparenti contraddizioni di Conte: la continua scelta offensiva senza l'interprete finale, il puntero solitario, ma con la giostra dei goleador; o la difesa a tre o a quattro che non denuncia incertezze o volubilità ma rivela piuttosto l'aggiornamento di una tattica italica fatta trappola per l'avversario, come precisò Gianni Brera - il Gran Maestro perduto vent'anni fa - quando attribuì alla Nazionale di Bearzot vincitrice del Mundial 1982 il titolo di “squadra femmina”. A questa naturale virtù del calcio nostrano Conte ha aggiunto una qualità personale, l'Intensità, che taluno disconosce per esagerazione del concetto euclideo, pur caro a Brera, ignorando il valore assoluto dell'emozione. Ecco, dunque, tornare in campo il Conte che sale al podio come un maestro di musica e dirige la squadra secondo un ideale spartito che l'ha portata a cogliere uno scudetto senza mai perdere; il Conte che, ormai senza voce, affronta il dibattito del dopopartita concedendo più sorrisi che parole. E adesso, Palermo. E l'Europa che verrà.
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