sabato 11 ottobre 2003
Sulle "immagini di Dio": promesso ieri partendo dal libro di Citati. Torna spesso il tema, ma a sproposito, come tabù, fatto sacro, mistico, esoterico o persino ("Giornale", 8/10) per fondare il no al voto degli immigrati. Da "antropologa" Ida Magli scrive che per questo tabù l'Islàm non ha iconografia, e così emerge la radicale diversità dal Cristianesimo. Ma così - follia! - si può negare il voto anche agli Ebrei. E poi la tesi non sta in piedi, perché nell'A.T. la ragione del divieto delle immagini divine che emerge in ogni passo relativo non è un tabù sacrale, ma il fatto che le immagini (gli "idoli") non hanno voce, mentre il Dio di Abramo è una voce, e gli uomini debbono ascoltare le sue "parole": i comandamenti si chiamano "haddebarìm" (le parole). Gli uomini "si servono" dell'idolo, immagine muta, ma Dio parla, e gli uomini debbono "servirlo". Come? Qui la radicale novità biblica: ascoltandolo che ordina di riconoscerlo nella sua "immagine somigliantissima" (Gen. 1,26) e unica che è l'uomo fratello. Perciò "conoscere Dio", nella Bibbia, è riconoscerlo nell'uomo che soffre e invoca giustizia. Lo dicono chiaro centinaia di testi. E il Nuovo Testamento è la conferma definitiva: Dio si mostra e si offre realmente nell'Uomo Gesù di Nazaret. Perciò San Giacomo, nella sua lettera, dice che "la vera religione è soccorrere gli orfani e le vedove". E perciò Gesù, interrogato sui rapporti tra Dio e Cesare si fa mostrare una moneta, con l'immagine di Cesare, e a Cesare riconosce potere su di essa, ma riserva a Dio, unicamente a Dio, il potere sull'immagine sua viva che è l'uomo. Ecco la vera laicità: nessuno in nome di Dio governi le monete. Nessuno in nome di Cesare governi i cuori degli uomini" Vi pare poco?
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