mercoledì 6 marzo 2013
A volte basta un titolo eccentrico per invogliare a leggere, ed eccomi qui, incoraggiato anche dalla snellezza del libretto, con in mano Cosa si prova ad essere un pipistrello? di Thomas Nagel (Castelvecchi, pp. 64, euro 7,50). Pignoleria sul titolo, eccentrico ma grammaticalmente inesatto. «Cosa», come interrogativo, non basta: bisogna sempre dire «che cosa». Esempio: «Che cravatta porti?», va bene. Se non si riconosce l'oggetto intorno al collo dell'interlocutore, si domanderà: «Che cosa porti?»; se invece si dicesse solo: «Cosa porti?», sarebbe come se, nell'esempio, si dicesse: «Cravatta porti?». Insomma, il «che» (aggettivo) ci vuole sempre, anche da solo (e diventa pronome): «Che porti?». Anche sulla «d» eufonica c'è da eccepire. Va usata solo per evitare l'incontro di due vocali uguali («ad altri»), ma se le vocali sono diverse, non c'è bisogno di eufonia. Quindi: «A essere», non «Ad essere». E finalmente passiamo al libro che non riguarda Batman (l'uomo pipistrello dei cartoon e dei film), ma è un saggio uscito nel 1974 sull'americana Philosophical Review, a firma del prestigioso filosofo Thomas Nagel (Belgrado 1937, ma statunitense dal 1944), che insegna Filosofia e Diritto alla New York University e che, tanto per misurarne la notorietà, nel 2008 ha ricevuto il cospicuo Premio Balzan (670mila euro). Autorità riconosciuta negli studi sul rapporto mente-corpo, Nagel sostiene l'irriducibilità della coscienza alla sola dimensione materiale (cerebrale), e gliene siamo grati. Il punto, infatti, è il carattere soggettivo, intrasferibile, dell'esperienza, per cui non sapremo mai che cosa si prova a essere un pipistrello, o qualunque altro essere, anche umano, diverso da noi. La cosa non è ovvia come potrebbe apparire, perché mette in gioco il problema dell'oggettività della conoscenza. La riflessione sul pipistrello, «sembra dunque spingerci a concludere che esistono fatti la cui realtà non è riducibile alla verità di proposizioni esprimibili nel linguaggio umano». E ancora: «Per quanto possa sembrare strano, è possibile avere la certezza della verità di qualcosa che tuttavia non si riesce a capire fino in fondo». Evidentemente, Nagel non conosce, o non ricorda, la filosofia di Alexander Gottlieb Baumgarten (1714-1762), il quale, in polemica con le idee «chiare e distinte» di cartesiana memoria, sosteneva l'importanza delle idee «chiare e confuse», cioè soggettivamente certe, ma non dimostrabili analiticamente, e bisogna riconoscere che la grande maggioranza (se non la totalità) delle nostre idee «chiare» non è analiticamente dimostrabile. Banalmente: siamo certi che Napoleone è nato il 15 agosto 1769, ma non siamo in grado di dimostrarlo se non per le testimonianze altrui. E ogni nostra conoscenza, sempre basata sull'esperienza sensibile («Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu; niente è nell'intelletto, che prima non sia stato nei sensi») supera la sensibilità stessa, come è attestato, appunto, dalla coscienza. Baumgarten è il fondatore di quel ramo della filosofia a cui ha dato il nome di "estetica", definita come «scienza della conoscenza sensibile». Stupisce l'ignoranza della filosofia classica (aristotelico-tomista) da parte di studiosi pur seri come Nagel. Il quale, per esempio, usa termini come «logica», «essenza», «conoscenza«, al di fuori dall'àmbito metafisico in cui sono nati e che li giustifica. È come cercare di spiegare le foglie senza domandarsi di che albero si tratti. La traduzione italiana del saggio di Nagel è curata da Teodoro Falchi.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI