mercoledì 28 marzo 2018
Robert Poulet (1893-1989), scrittore, giornalista, pamphlettista, amico di Céline, nell'orbita di Charles Maurras e dell'Action Française, nel 1945 fu condannato a morte per collaborazionismo, ma dopo sei anni di carcere fu graziato e riprese a scrivere. Nel 1962 pubblicò Contre l'amour, nel 1963 Contre la jeunesse, nel 1967 Contre la plèbe e Contre l'automobile. «Contrario a tutto e insopportabile a quasi tutti», scrive Luigi Mascheroni nella scintillante prefazione a Contro la gioventù, riproposto da Oaks(pagine 174, euro 10) nella traduzione di Luigi Emery per le edizioni Volpe del 1967.
Come quasi tutti gli scrittori "di destra", contrariamente a quasi tutti gli scrittori "di sinistra" che sono pesantemente noiosi, Poulet scrive molto bene, e di questo gli va dato atto. «Libro così morbosamente reazionario da essere la punta della rivoluzione sociale», scrive ancora Mascheroni, «Contro la gioventù mantiene la forza di un sonoro schiaffone. Soprattutto oggi, tirato in faccia alla nostra epoca in crisi di infantilismo, superficiale e permissivista. Perché se i giovani sono inaffidabili, i padri sono inadempienti».
Qualche esempio di Poulet a proposito dell'infanzia: «V'è una specie di malignità infantile, o addirittura di crudeltà, che deriva dalla curiosità, come la scienza sperimentale deriva dalla congettura. Ecco una bimba che, appena lasciata a sé stessa nel giardino pubblico, picchia tutti i più piccini che incontra, rompe i loro giocattoli, strappa la scarpetta di un bimbo e va a gettarla nella vasca; poi si siede per terra nel posto più sporco, si rotola tra i rifiuti, torna verso la mamma dicendo di annoiarsi».
Non se la cavano meglio gli adolescenti (per Poulet l'adolescenza si protrae fino a trent'anni, quando si diventerebbe adulti): «I giovani di vent'anni non dovrebbero mai permettere che uno più anziano udisse le loro conversazioni. Esse rivelano una tale vuotaggine, avvolta in una tale frenesia d'imitazione, che quei disgraziati non possono illudere nemmeno sé stessi, sapendo d'altronde benissimo che non ingannano il loro interlocutore e collega, il quale, rispondendo sullo stesso tono, non riesce meglio nell'inganno».
Poche speranze dalla scuola, anzi: «È senza dubbio la scuola - di cui il nostro secolo ha la superstizione - a causare la crisi d'infantilismo di cui l'umanità d'oggi presenta tutti i segni. Manca alla nostra società la solida infrastruttura di analfabeti che fa le razze forti». Come se non bastasse, «un metodo di educazione dei giovani si giudica secondo i matrimoni a cui dà luogo. Vale a dire che il nostro è condannato». Quanto alla politica, «come potrebbero i giovani avere delle opinioni politiche? È come se i ciechi si pronunciassero per l'azzurro o per il rosso. L'oggetto più generale della politica è l'organizzazione del mondo. Ma si può organizzare ciò di cui non si ha la minima idea? Poi, ogni politica è un rischio. La gioventù non ha nulla da arrischiare, perché nulla ha da perdere. (E d'altronde è quasi sempre mantenuta e protetta gratis)».
Paradossi? Certamente, ma l'esperienza storica recente dimostra l'esito catastrofico delle "rivoluzioni" giovanili: il fascismo, a passo di marcia cantando "Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza", e i moti studenteschi del Sessantotto, con le ferite che ci stiamo tuttora leccando. Insomma, «il nostro secolo ha rinnegato Dio, ha rimesso in forse il bene e il male, ha falsato l'onore e la giustizia, negato la patria; ma si guarda bene dal contestare l'eminente dignità morale della gioventù e il carattere sacro dell'infanzia». Fino a questa non sottile perfidia: «La donna che ha messo al mondo un cretino se ne consola, pensando a un tempo: "È felice… È mio"».
Nel dilagare del politicamente corretto, un antidoto esagerato come quello di Robert Poulet aiuta a rivedere i luoghi comuni, che sono la tomba dell'intelligenza.
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