I media e papa Giovanni Paolo II: troppo grande per un «usa e getta»
venerdì 3 aprile 2015
Il decennale della morte di Giovanni Paolo II non ha particolarmente stimolato i media, negli scorsi giorni. In particolare quelli digitali: come se sulla Rete, malgrado l'enorme memoria (quel nome restituisce 42 milioni di ricorrenze), il tempo scorresse più in fretta rispetto ai quotidiani di carta e anche rispetto alla tv, che dei media è la più vanitosa e ama farsi rivedere com'era. Me lo dicono, anche se mentre scrivo la giornata non è ancora finita, i 30 link che conto sui siti e blog specializzati e i 120 che mi propone Google News, nonché il relativamente modesto traffico sui profili Facebook intitolati a papa Wojtyla. E me lo dicono i contenuti. Mentre tacciono i blog d'autore e tacciono anche, senza eccezioni, le fonti più radicali, non importa se attestate sul versante della tradizione o su quello della riforma, prevalgono invece le rievocazioni di quelle ultime ore, accanto a carrellate di foto, o di frasi, o di momenti isolati retoricamente nell'intento di rievocarne l'insegnamento e la leadership.Sarebbe questa l'altra faccia della condizione di «più grande personaggio di consumo per l'opinione pubblica mondiale» attribuita a suo tempo a Giovanni Paolo II da Domenico Del Rio. E corroborata attraverso il «santo subito», che da auspicio universalmente condiviso al momento della morte si è tradotto nelle rapide decisioni dei suoi successori. Non sto affatto dubitando della bontà di quelle decisioni. Sto ragionando sulla strumentalità del tributo che, in occasione della beatificazione e della canonizzazione, case editrici e media hanno reso a Karol il Grande. Abbiamo attinto dal suo lungo pontificato, e dal resto della sua biografia, tutto quello che si poteva attingere, saturando, in un certo senso, la pur sincera attenzione dell'opinione pubblica. Nel 2020 ricorrerà il centenario della nascita: chissà che per allora non si riesca a offrire una fotografia più limpida dell'eredità di un pontificato di cui in tanti ci sentiamo debitori.
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