domenica 5 ottobre 2003
Tutti abbiamo forza sufficiente per sopportare i mali altrui. Quella salute, che per me desidero, ti mando. Ho messo insieme due frasi di scrittori diversi per tempo ed esperienza: entrambe mi sono state suggerite da un giovane lettore abruzzese ora residente a Milano. La prima è finemente mordace come lo sa essere il suo autore, non di rado ospitato in questa rubrica, il filosofo moralista francese La Rochefoucauld (1613-1680), ed è desunta dalle sue celebri Massime. Quando dobbiamo consolare gli altri che sono incappati in una sventura, ci riveliamo sicuri, li esortiamo ad essere forti, mostriamo la nostra coraggiosa tempra di fronte alle avversità della vita. Tutto cambia quando un'analoga sventura piomba su di noi. Condividere da sano la sofferenza di un malato è, certo, un'opera buona ma agevole. Esserne partecipe da malato è tutt'altra cosa. È a questo punto che mi sembra significativo proporre l'altra frase scritta nientemeno che dal Boccaccio nel suo Filocolo, romanzo in cinque libri che narra l'amore tra Florio e Biancifiore, personaggi di una leggenda medievale. Per capire la forza di quelle parole bisogna sapere che esse sono un saluto, una formula di augurio: io vorrei darti - si dice all'altra persona - tutta quella salute, quella felicità che io desidero per me stesso. Anche questa frase è difficile da dirsi in verità. L'egoismo inconscio fa spesso capolino e, come ci teniamo ben stretti i nostri beni materiali, così vorremmo star sempre meglio degli altri. Tra l'altro, è ben più facile partecipare al dolore dell'amico che non al suo successo e alla sua piena felicità"
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