mercoledì 24 agosto 2016
Romain Rolland (1866-1944) è poco letto in Francia e quasi sconosciuto in Italia, nonostante il Premio Nobel assegnatogli nel 1915. Il suo capolavoro, il romanzo fiume Jean Christophe, pubblicato fra il 1903 e il 1912 sui Cahiers de la Quinzaine di Charles Peguy, non è mai stato tradotto in italiano, e si può ben capire perché, trattandosi di un'opera in dieci volumi. Neppure i sette volumi di L'âme enchantée sono mai stati disponibili nella nostra lingua, mentre tuttora in commercio ci sono gli scritti musicali e le biografie di Rolland dedicate a Tolstoj, Gandhi, Ramakrisna, Beethoven, Empedocle, Michelangelo, Haendel. I primi tre nomi di questo elenco incompleto fanno intuire le idee pacifiste e universaliste di Romain che, alla vigilia della prima Guerra mondiale, suscitò ampie polemiche con Al di sopra della mischia, convintamente antimilitarista, che peraltro non gli precluse il Nobel, come già detto.Applausi, dunque, a Giovanna Zavatti che ha tradotto e curato I tre lampi e altri racconti di Romain Rolland (BookTime, pagine 92, euro 12,00), eccellente sollecitazione a conoscere un autore che, scrivendo alla contessa Jahn Rusconi l'8 agosto 1926, aggiungeva: «Mi auguro di vedervi, prima o poi, a Firenze. Adoro la vostra Italia; ed è una pena cocente sentirmene bandito fin tanto che sarà sotto la tirannia fascista».I tre lampi del racconto eponimo sono tre illuminazioni che hanno segnato la vita dello scrittore. La prima avvenne sul belvedere di Ferney, il paese in cui visse Voltaire dal 1759 al 1778: lì il sedicenne Roland vide e conobbe «nuda la Natura», cioè avvertì la sintonia con «l'unità del Creato». La seconda, due anni dopo, fu la scoperta, nell'Etica di Spinoza, che «tutto ciò che è, è in Dio». La terza agnizione avvenne riscontrando in Guerra e pace che la risata di Pierre, interiormente libero benché rinchiuso, era proprio quella che egli aveva sperimentato qualche tempo prima quando, durante una sosta del treno nel buio di un tunnel, non solo non condivise la paura degli altri viaggiatori, ma capì che la sua anima, comunque, sarebbe stata altrove.Ma il ricordo determinante risale al 1871. Romain è al mare con la mamma e la sorellina Madeleine, di due anni più piccola. Escluso dal gioco dagli altri ragazzi, il bambino, piagnucolando, si siede ai piedi della sorellina: «Allora lei mi accarezza dolcemente i capelli con la sua manina, e dice: “Mio povero piccolo Mainmain”», storpiando infantilmente il nome di Romain. La sorellina morirà un anno dopo, per una malattia mal diagnosticata. Qual gesto accompagnerà lo scrittore per tutta la vita: era stato la suprema rivelazione «della Compassione umana».In Amore.Pace, Rolland rievoca la sua amicizia con Malwida, la baronessa von Meysenburg, scrittrice tedesca che nel 1876 aveva pubblicato i tre volumi delle sue Memorie di un'idealista. Quando si conobbero, a Roma, verso il 1890, Romain aveva ventiquattro anni, lei settantaquattro. La signora, che aveva frequentato Wagner, Liszt, Nietzsche, Herzen, Mazzini, diede fiducia al giovane alle prese con gli entusiasmi, le difficoltà e le incomprensioni dell'incipiente carriera letteraria, ed egli le fu perennemente grato, come testimonia la loro fitta corrispondenza che durò fino alla morte di lei (1903). A Malwida, singolare figura di intellettuale indipendente, Giovanna Zavatti ha dedicato la biografia pubblicata da Simonelli nel 2003.L'epistolario di Rolland occupa sedici volumi, più Un beau visage à tous sens, pubblicato nel 1967 per il centenario della nascita dello scrittore. Da questo libro, Zavatti ha riportato alcuni esempi dello stile di Rolland, con alcuni squarci sulla sua religiosità. Scrivendo nel 1940 al reverendo Matthew Hoch (USA) ricorda la sua nascita in una famiglia cattolica, anche se dopo l'adolescenza il dubbio l'aveva allontanato dalla Chiesa. «Ma», precisa, «ho conservato la mia religiosità; e nella vita difficile che ho dovuto vivere, è per mezzo della fede che ho vissuto». E al gesuita Louis Beinaert, nel 1941, ringraziandolo per una lettera affettuosa, si diceva «commosso soprattutto del posto che mi accordate nelle vostre preghiere, durante il sacrificio della Messa. Certamente, non potete farmi un dono più emozionante. Che io possa esserne degno!».
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