martedì 26 novembre 2013
Sono più di cinquant'anni che viviamo in questa casa. Quando ci siamo entrati era nuova, appena costruita; e le nostre figlie erano bambine. Ci siamo invecchiati dentro; e la casa è invecchiata con noi. Non quanto noi, certo. Risale agli inizi del cosiddetto Boom Italiano: e le modalità costruttive risentono del vicino dopoguerra, pur rivelando una voglia di moderno. Sicché infissi e impianti col tempo reggono poco. Succede che una finestra o una porta chiudano a fatica, che una maniglia faccia cilecca; o che una presa elettrica riscaldi. Tutto ciò mi cagiona un malessere sproporzionato. Mi sento indifeso, di cose simili ne ho sempre capito poco. Un mio fratello diceva che sono nato con due mani sinistre; ed è assai peggio che dopo io me ne sia stupidamente accontentato. Comunque ogni piccolo guasto mi fa disperare. Ma mi fa disperare, credo, soprattutto per la sua valenza simbolica. Nella decadenza della nostra povera casa vivo la mia personale decadenza umana. Sarebbe possibile un restauro radicale della casa? Talvolta me lo domando, quando non riesco a dormire, rigirandomi nel letto. Sarebbe possibile, magari, e liberatorio. Dopo penso alla mia età e alle mie non restaurabili speranze (si chiamano così) di vita. E sempre concludo, voltando il viso verso il muro: vedranno le eredi.
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