I doveri di chi comunica il Papa e l'«abc» di ciascun giornalista
domenica 22 gennaio 2017
Mi è capitato talvolta, negli anni, di essere interpellato da studenti che dedicavano la loro tesi di laurea a questo o a quell'aspetto del tema "Chiesa e comunicazione pubblica". Quasi tutti covavano una vocazione per il giornalismo e una passione per la vita della Chiesa, per cui prima o poi venivano fuori due domande: per scrivere di Chiesa bisogna essere cristiani? Se sì, viene prima il giornalista o il cristiano? Ho sempre risposto "no" alla prima, sebbene spesso mi fosse posta dando per scontato il "sì", precisando poi, in merito alla seconda, che non dovrebbe darsi "conflitto di interessi": basta far bene il proprio lavoro, se è vero che per un cristiano ogni lavoro, compreso quindi quello giornalistico, «esalta i doni del Creatore e i talenti ricevuti», come dice il Catechismo.
Tutto ciò mi è tornato in mente leggendo i resoconti (sul "Sir" quelli un po' più ampi tinyurl.com/jspe4dg ) dell'intervento che monsignor Viganò, prefetto della Segreteria per la comunicazione della Santa Sede, ha pronunciato il 20 gennaio al convegno su "Il cristianesimo al tempo di papa Francesco", del quale "Avvenire" ha già ampiamente riferito. In un testo che, soffermandosi sullo stile comunicativo del Papa, ha ben analizzato, anche nei suoi aspetti più scomodi, la distanza che spesso c'è nei media «tra ciò che il Papa ha detto e dice e ciò che del Papa viene narrato», una più semplice frase mi ha riportato a quelle domande degli studenti: chi comunica il Papa è chiamato a «non dire ciò di cui non ha prove adeguate, non parlare a vanvera».
Comunicare il Papa e la Chiesa comporta maggiori responsabilità, visto il loro profilo pubblico e il riferimento che egli e l'istituzione che guida rappresentano per tante coscienze; ma la regola del non dire ciò di cui non si hanno prove adeguate, ovvero del verificare le fonti, fa parte, con tutta evidenza, dell'abc di ciascun giornalista, quale che sia il soggetto della sua cronaca (e l'oggetto della sua fede). La novità è che dovrebbe valere anche, nell'era del Web 2.0, per chiunque si cali in questa Rete e vi stringa un proprio, per quanto piccolo, nodo.
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