sabato 17 aprile 2010
Scrivere perché? O scrivere per chi? Per noi stessi? Quasi mai; al fondo dell'animo si rivela sempre il pensiero che altri, un giorno, potranno leggere, condividere o giudicare. Così si sta attenti a non rivelare sempre il fondo dei nostri pensieri, quasi la verità confessata possa fare più male di quando la si tiene per sé. I diari forse, in un certo periodo della vita, si fanno per se stessi. Solo quando sono uno sfogo, quando non si ha altri con cui parlare. Ma nemmeno questo è vero, perché sotto le parole e le righe si immagina che qualcuno, forse un domani, potrebbe leggere. In realtà non sappiamo stare senza la presenza più o meno reale degli altri. Su un'isola deserta, con un pacco di fogli e di matite un naufrago si metterebbe a disegnare o a scrivere se non sperasse di essere salvato? Quasi niente facciamo solo per noi stessi, anche quando rispondiamo alle sollecitazioni dei media che ci dicono: curati di te, consigliando creme e cure di bellezza. Soprattutto allora cerchiamo l'approvazione negli occhi di altri, non considerando sufficiente il nostro specchio se dobbiamo quel mattino passare l'aspirapolvere o lavorare in un'officina meccanica. E allora gli eremiti? Quelli che in un viaggio di piacere abbiamo creduto di vedere nelle gole dei deserti fra vecchie mura e giardini come fazzoletti che una miracolosa polla d'acqua tingeva di verde? Noi avevamo scambiato per solitudine la scelta di una spiritualità così intensa da far sentire loro la presenza di un mondo che vive per la loro preghiera. Siamo portati a credere di essere soli quando qualcosa ha colpito noi o i nostri familiari, quando non sappiamo come rispondere a dei momenti di difficoltà, quando vorremo piangere e gridare al mondo e invece ci preoccupiamo di mantenere esternamente un contegno che non corrisponde al momento del nostro sentire. A volte non riconosciamo la mano che ci verrebbe tesa solo se il timore di non essere compresi non mettesse un freno alle nostre parole. Allora scriviamo i nostri diari che invecchiano prima del tempo, che noi stessi non rileggeremo mai come non si riaprono le pagine degli album delle fotografie. Anch'essi restano nel chiuso di un armadio dove perderanno un po' di colore finché i nostri nipoti riaprendoli rideranno dei nostri abiti e delle nostre pettinature, come noi abbiamo fatto guardando le foto dei nonni. Se ci pensiamo bene la vera solitudine è rara e quando è una scelta cosciente si rivela un terreno fertile di idee e di fatti. Per quell'altra invece, quella che pare disporre di noi nei giorni negativi, basta aprire una finestra, sfogliare un libro, fare una telefonata, aprire la televisione e ci viene incontro un mondo che, per quanto dia segni di vecchiaia, ha sempre ancora qualche cosa che ci può stupire. Come l'eruzione del vulcano pieno di ghiaccio che impedisce il volo dei nostri aerei. Importante, d'altra parte, è saper ascoltare. Ci sono persone che ci telefonano solo a scopo terapeutico. A volte non interessa loro neppure la nostra risposta perché è già un conforto sapere che qualcuno stia a sentire le nostre parole. E allora perché negare la propria presenza quando richiede solo un po' di quella pazienza che qualcuno chiamava «la virtù dei forti»?
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