venerdì 19 novembre 2004
 "I miei desideri sono pochi" continuò a pensare con dispiacere; perché sapeva che la mancanza di desideri è il segno della fine della gioventù e il primo e lontanissimo avvertimento della vera fine della vita. "Niente mi fa più voglia"".Così confessa a se stesso un cacciatore che in «un mattino di novembre molto prima dell"alba» sta accucciato in una botte in una palude vicino a Venezia in attesa del passaggio di uno stormo di uccelli. E" uno degli splendidi e intensi racconti dei Sillabari di Goffredo Parise (1929-1986), riproposti qualche mese fa da Adelphi. Quanto si è scritto ai nostri giorni sulla caduta del desiderio, spesso puntando tutto sul chiodo fisso del sesso e con tante sbrodolature psicologiche. In realtà c"è un estinguersi più profondo e pericoloso della capacità di desiderare ed è la stanchezza del cuore, l"inerzia dell"anima, la crisi del pensiero.Una canzone di Fabrizio De André diceva: «Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior». Ci sono realtà materiali preziose a cui ci si aggrappa ferocemente, ma sono cose fredde come pietre, incapaci di dare vita. Ci sono, invece, realtà semplici e quotidiane che sono capaci di generare e di nutrire. I desideri nascono paradossalmente dal letame, ossia dalla povertà, dal distacco, da ciò che sembra scarto ed è invece dotato ancora di energia. Noi ora abbiamo troppo ed è per questo che non siamo più capaci di pensare in grande, di sognare, di sperare, di progettare, di desiderare. Siamo diventati come gli idoli preziosi che adoriamo, gelidi, lucidi, rotondi ma morti e immobili.
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