I buoni frutti nei campi italiani
sabato 20 marzo 2010
Crescono le esportazioni agroalimentari italiane. È un dato importante, soprattutto consolante. Specialmente se lo si unisce ad altre indicazioni che in questi giorni sono arrivate dal mondo della produzione e della trasformazione agricola: pur nelle difficoltà dovute alla crisi, una parte, consistente, delle imprese è riuscita sostanzialmente a "tenere" le proprie posizioni produttive. In altre parole, la produzione alimentare italiana, anche quella di base, dà ancora una volta buona prova di sé, pur tenendo conto della varietà e della delicatezza delle situazioni che i dati generali nascondono.
A gennaio, su base annuale, le vendite all'estero rilevate dall'Istat sono cresciute in valore dell'1,4%. Un risultato superiore alla media di tutti i settori produttivi (che si è fermata all'1%). Certo, occorre subito notare che, nello stesso periodo, le esportazioni di prodotti agricoli allo stato naturale sono diminuite dell'1,9%, mentre quelle dei trasformati sono aumentate del 2,4%. Ciò che conta, tuttavia, è l'indicazione di fondo. Secondo Confagricoltura, per esempio, ci sono le premesse per rilanciare l'export agroalimentare, anche se sembra difficile che il settore possa colmare velocemente il divario rispetto ai valori di picco degli scambi raggiunti nei mesi immediatamente precedenti la crisi. Così come non può essere trascurato l'andamento del comparto dei freschi, più delicato di quello dei prodotti trasformati. Ma non solo. Se alcuni numeri sembrano volgere in positivo, ciò non è sufficiente per pensare che tutto sia risolto. Coldiretti, per esempio, sostiene che nonostante la sostanziale tenuta delle esportazioni alimentari e dei consumi interni, si sia verificato un crollo dell'11% dei prezzi riconosciuti agli agricoltori, senza alcun beneficio ai consumatori. Il concetto che sintetizza meglio questa situazione sembra ancora una volta essere quello di "distorsione": lungo le filiere dai campi alle tavole, nei canali commerciali, nei rapporti fra produttori, trasformatori e distributori. È probabilmente anche e soprattutto per questo motivo che i segnali positivi che sono stati colti devono comunque essere attentamente analizzati e verificati. Fatto sta, però, che questi ci sono. Così come ve ne sono altri. Le indicazioni che emergono dall'indagine al 31 dicembre scorso effettuata da Fedagri-Confcooperative sui suoi associati, per esempio, parlano chiaramente di una crescita. Dal 2003 al 2009 il fatturato è aumentato del 28% circa, passando da 19,6 a 25,2 miliardi di euro, pur tenendo conto che nell'ultimo anno è stata registrata una flessione dell'1,2%.
Anche in questo caso, come per i dati precedenti, occorre guardare oltre. Le cooperative di alcuni comparti chiave hanno pesantemente sofferto. Basta pensare a quelle cerealicole che hanno avuto un tracollo di fatturato del 34%, oppure a quelle vitivinicole con un -20%. Ma vale sempre l'indicazione di tendenza: l'agricoltura ce la può fare.
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