giovedì 7 luglio 2016
Quando da ragazzo vivevo coi miei, in una casa di campagna, abbiamo sempre avuto cani, i più svariati, nessuno però di sangue blu. I bastardi, così venivano chiamati, erano di razza indecifrabile, tutti rigorosamente raccolti per strada, che era la nostra fornitrice di fiducia. C'era quello con le zampe troppo corte, un altro con la coda più lunga di lui e c'era il tipo sferoidale ed ancora chi, troppo lungo, avrebbe avuto bisogno di due zampe supplementari come nel logo dell'Agip. Anche l'abbaio era differente, si andava da un suono di trombetta fino ai rintocchi di un campanone. Ho ancora in mente la polifonia di quegli amici dell'uomo. Circa l'umanità, noi oggi tendiamo, giustamente, a non differenziare, almeno ufficialmente, le varietà umane, se non per riconoscerle come ricchezza del molteplice. Ma con talune specie di animali ecco scatenarsi un quasi imprevedibile razzismo. Credo si tocchi il vertice con cavalli, cani e gatti la cui razza è selezionata da fare impressione e mercato. Vi è un maiale combinato che non abbia grasso e cresca in fretta; l'unico difetto è che, a caricarlo sul camion, rischia l'infarto perché non progettato per la corsa. Anche coi polli so che non si scherza. Rimpiango i miei cani senz'arte né parte ma soprattutto, d'inverno, senza cappotto blu.
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