giovedì 11 ottobre 2012
“Corsera” martedì (p. 23): Gian Guido Vecchi sull'inizio del Sinodo: «Benedetto XVI… non ha scritto un testo né consulta appunti… e ad ascoltare sospesi uno dei discorsi più alti e più belli del suo pontificato ci sono 262 padri sinodali arrivati a Roma da tutto il mondo». Però seguono 22 righe solo in parte sul «discorso più alto e più bello»! È libertà, e il "Corsera" non è "L'Osservatore", ma in decine di pagine trovi tante cose e – suvvia! – qualcosa di più si poteva attendere, vero? Sul "Foglio" invece, sempre martedì, il fondo del direttore ha un titolo redazionale, «La rivoluzione del Concilio», che già da solo tradisce la realtà. Se l'atto di una Chiesa che risale a Gesù Cristo fu "rivoluzione" è già scontato che esso è stato una "rottura" con storia e fede precedente. Proprio questa, lì sotto, è la tesi di Roberto De Mattei (pp. 1 e 4: «Quando la tradizione fu opacizzata») che dimostra di identificare "la" fede della Chiesa di sempre con quella che per lui è "la" tradizione, magari fissata – come fa nei suoi libri – con i canoni di Melchiorre Cano, teologo di 4 secoli orsono. Ma, a sorpresa, la tesi del Concilio come «rivoluzione» è cara a due fronti opposti: chi in nome delle sue idee su una "tradizione" malintesa (e identificata in toto con l'autentica fede cattolica) condanna il Concilio come «traditore» e chi, sempre in nome delle sue idee, ma opposte, condanna la Chiesa dal Concilio in poi, dicendo che essa ha «tradito» il Concilio stesso. Qualcosa non fila, su ambedue i "fronti". Riforma, e non rivoluzione! La prima, continua e praticata secondo la migliore grande dottrina non solo moderna – penso per esempio a Benedetto e Francesco – e la seconda mai pensabile da chi ricorda che la Chiesa l'ha fondata il Signore…
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