mercoledì 3 novembre 2010
Il grande merito del volume di Mario Signore, Economia del bisogno ed etica del desiderio (Pensa Multimedia, pagine 240, euro 19), è di aver gettato le basi di un'«antropologia della complessità». L'analisi non solo economica, infatti, soffre della semplificazione che ha ridotto l'uomo alla sola dimensione dell'avere, dei bisogni solvibili con i beni materiali che il lavoro produce. Ma, sostiene Signore, accanto all'homo oeconomicus, c'è anche l'homo sapiens, faber, demens, ludens, consumans, orans.
La sfida è di tenere insieme queste e tutte le altre dimensioni per mettere al centro della riflessione economica, sociologica, politica, l'uomo tutto intero, nella sua "complessità", che non è mera "complicazione": «Il vero problema " sostiene Signore " non è quello di riportare la complicazione degli sviluppi a regole di base semplici. La complessità si colloca, essa stessa, alla base». Ecco perché viene auspicata un'«antropologia della complessità»: perché la radice del riduzionismo è filosofica, e risale al cogito cartesiano che ha ristretto l'uomo alla sola razionalità: da qui le conseguenze e le derive dello scientismo e del tecnicismo oggi imperanti. Si tratta, pertanto, di rimettere al centro «non l'autosufficienza del cogito, ma la responsabilizzante relazionalità della persona». È vero che l'uomo «è i suoi bisogni», ma tali bisogni non sono soddisfabili soltanto nel rapporto tra la persona e le cose (utilità), perché, al di sopra di tutti, c'è l'insopprimibile bisogno di felicità, che può essere soddisfatto soltanto nei rapporti tra persone. Accanto (o, meglio, intrinseco) al bisogno di felicità vi è l'hegeliano bisogno di «riconoscimento» che richiede di essere soddisfatto «in quanto essenziale e irrinunciabile per la realizzazione di quell'intero antropologico che chiama in causa non solo l'uomo e le sue potenzialità, ma anche le istituzioni in una quadro di vita buona, eticamente orientato».
Anche da questi cenni si intuisce che il nerbo dell'argomentazione di Signore è l'appello per un'etica che non sia disgiunta dall'economia, dalla sociologia, dal diritto, dalla politica: «un'etica "sconfinata" per introdurre un elemento dirompente nelle acque apparentemente tranquille dell'etica, di un'"etica naturale" o, per altro versante, di un oscillante "diritto naturale" tra il moralismo e il catastrofismo di chi definisce l'epoca post-moderna come "crepuscolo" della morale». In tal senso, alla globalizzazione degli scambi commerciali e finanziari occorre associare una globalizzazione di alcuni valori essenziali, e in primo luogo il valore della solidarietà «che ha come riferimento universale, fondativo, la persona umana». In un'antropologia della complessità «il principio di solidarietà si impone e si fa egemone prima e senza che qualcuno si faccia la domanda: perché la solidarietà? Cercare la risposta è già volerne stare fuori».
La forte carica etica implicita nell'economia del bisogno contiene in sé quell'irrinunciabile tensione dell'esistenza che definiamo "desiderio" e che «non può evitare di fare i conti con la trascendenza». Proprio l'analisi dei bisogni, a partire dal bisogno di felicità, ci fa apparire l'uomo d'oggi in tutta la sua fragilità. E questa vulnerabilità fa appello al bisogno di cura e alla responsabilità di prendersi cura dei nostri fratelli, in un'economia del dono tematizzata anche nell'enciclica Caritas in veritate. Nella sua profonda trattazione, Mario Signore, ordinario di Filosofia morale nella facoltà di Economia dell'Università del Salento, ha scelto come interlocutori soprattutto Edgar Morin (il teorizzatore della "complessità"), Amartya Kumar Sen, Martha Nussbaum, non senza gli apporti del pensiero classico, da Platone ad Aristotele, a Kant, a Heidegger. Un'ultima annotazione. Alla domanda: «Viene prima la democrazia o viene prima lo sviluppo?» l'autore non esita ad affermare il primato (non solo e non tanto cronologico) della democrazia come condizione stessa dello sviluppo, e questa è un'esemplare applicazione dell'«antropologia della complessità».
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