venerdì 11 marzo 2022
Vedemmo i film di Satyajit Ray, uno dei più grandi registi della storia del cinema, nella seconda metà degli anni Cinquanta scoprendo il cinema indiano dopo aver scoperto grazie a Rashomon e a Kurosawa il grande cinema giapponese. La Trilogia di Apu, tre film su infanzia adolescenza maturità di un giovane che dalla campagna nativa si faceva cittadino e affrontava un destino (molto comune) di gioie e dolori con una commovente purezza di sentimenti. Satyajit Ray, il regista, era bengalese e borghese, era stato alla scuola di Tagore e aveva avuto la fortuna di fare l'aiuto-regista di Jean Renoir per Il fiume (un film bellissimo, tratto da un romanzo inglese, che raccontava gli inglesi, gli occupanti). Avevamo letto Gandhi e conosciuto da poco il suo magistero, e i film di Ray ci illuminarono sul suo retroterra, la vita delle campagne e la cultura di quell'immenso paese. Molti anni dopo ho avuto la fortuna, mandato con altri da Laura Betti a presentare una retrospettiva di Pasolini al festival di Calcutta, di parlare proprio nell'aula in cui Ray tenne le sue lezioni di cinema, a una generazione di giovani cineasti e cinefili (che furono entusiasti di Pasolini, e lo videro, mi dissero, vicinissimo alla loro cultura e sensibilità). Giuro che, parlando di Pasolini e dalla cattedra di Ray, mi tremavano le gambe... Ma è un preciso film di Ray quasi sconosciuto in Itala che voglio ricordare: Tuoni lontani, del 1973, inedito in Italia, che era tratto da un romanzo dello stesso Banerjee da cui veniva la Trilogia di Apu. I "tuoni lontani" erano quelli degli aerei della Seconda guerra mondiale, uditi dal fondo delle campagne del Bengala che della guerra non subirono gli scontri armati e i bombardamenti ma qualcosa di altrettanto micidiale. Comprendendo da militare che il terreno dello scontro con il Giappone sarebbe stato verso la Cina e il Sud-Est asiatico, Churchill ordinò di spostare la coltivazione massiccia del riso dalla grande colonia dell'Impero più a est, per nutrire i suoi soldati... ma condannando alla fame il Bengala, che di riso viveva. Il film di Ray racconta la famiglia di un medico e insegnante di fronte a questa storia di fame e di morte, e una didascalia finale informa lo spettatore non indiano che in quella carestia perirono due milioni di persone. Dico due milioni di uomini, donne, bambini. Oggi, di nuovo in tempo di guerra e stavolta nei campi di grano e non nelle risaie, se non si ferma Putin, quanti bambini donne uomini moriranno? La Storia è ancora e sempre quella che disse la Morante: «uno scandalo che dura da diecimila anni», e che non accenna affatto a fermarsi.
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