venerdì 3 novembre 2017
Ecco due libri che possono comunicare forti angosce, anche se a loro modo sono distaccati come devono essere gli studi seri sulle grandi tragedie della storia: di Bruno Maida (Einaudi) L'infanzia nelle guerre del Novecento, e a cura di Maria Bacchi e Nella Roveri (il Mulino) L'età del transito e del conflitto. Bambini e adolescenti tra guerra e dopoguerra 1939-2015. Maida è ricercatore all'università di Torino, è certamente nato dopo la fine della guerra, e ha già dedicato altri studi a vicende di vittime, deportati, resistenti. Questo il suo lavoro più ambizioso e più sofferto, c'è molto calore nella sua ricostruzione, solida, seria, e commovente. Il volume di Bacchi e Roveri raccoglie interventi diversi, quali ottimi e quali meno, e alcuni con un sospetto di routine, tutti legati all'attività di una benemerita istituzione di Nonantola, la fondazione Villa Emma nata per ricordare l'attività di soccorso e scampo di bambini ebrei attuata da cittadini del luogo nel pieno dell'occupazione nazista. I saggi arrivano fin quasi all'oggi, e comunicano, alla fine, un forte sentimento di pena: la Storia – «uno scandalo che dura da diecimila anni», scrisse la Morante – non ha mai risparmiato l'infanzia, e l'angoscia viene non solo dalla sofferenza delle vittime, dal pianto sulla loro morte, viene purtroppo anche dalla constatazione che la Storia non è mai stata maestra di niente, a chi è venuto dopo, se non di astuzie e di orrori – neanche ai bambini che sfuggirono alla morte, una volta diventati adulti. Su questo si riflette poco, in questi libri. Credo che i bambini nati negli anni trenta che hanno subito in Europa gli effetti della seconda guerra mondiale – in un modo o nell'altro: tutti – una volta cresciuti, una volta tornati alla pace, non siano stati infine migliori, se non in una parte minoritaria più cosciente e più attiva, degli adulti per colpa dei quali avevano sofferto fame e terrore. Ed è questo a spaventare di più, per esempio quando si guarda (come fanno Maida e molti autori dell'altro volume) a quel che accade oggi, proprio oggi, nel mondo, a come il mondo tratta i suoi figli e mette in forse il loro futuro. Più che speranza, i due volumi comunicano disperazione. E «solo chi è disperato è autorizzato a parlare della speranza» diceva Gunther Anders. Consigliandoli a ogni tipo di educatore (genitori compresi), vorrei ricordare un film, recuperabile in dvd, che è tra quelli che – avendo visto la guerra da vicino come tutti quelli che erano allora bambini – io ho amato di più, Odissea tragica di Fred Zinnemann (nell'originale The search, la ricerca del figlio di una madre sopravvissuta al lager, vista in parallelo alla storia del bambino, a guerra finita, in un'Europa in macerie), per gran parte documentario. Ma cosa hanno fatto quei bambini una volta diventati adulti, hanno forse costruito un mondo migliore?
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