sabato 16 maggio 2020
«La lezione di Gino Bartali che va oltre i confini dello sport». Questo (”Corsera”, 10/5, p. 47) il bel ricordo di Aldo Grasso nell’anniversario della morte di “Ginettaccio”. In pagina spesso anche, stesso motivo, il ricordo di Fausto Coppi. E c’è altro: Superga e la trageda del Grande Torino. Maggio 1949: sotto il balcone di casa un grido: «So’ morti tutti! Quelli der Torino!» Il Grande Torino (Bacigalupo, Ballarin, Maroso…) vinceva sempre. Dopo vinse la Juve: «Muccinelli, Boniperti, Karl Hansen, John Hansen, Praest…. Torno al “duetto” Bartali e Coppi. Bartali: esempio di vita e di impegno, e il suo «L’è tutto da rifare!» non era qualunquista. Allora per l’Italia si trattava davvero di riprendere un cammino di libertà interrotto dal ventennio fascista e dall’occupazione tedesca. Due diversi modi non solo di correre in bicicletta, quello suo e di Coppi, ma anche di vivere. E l’immagine viva del Giro è nella mia mente di ragazzino qualche anno dopo. La carovana passò per Roma: guidava il gruppo Ugo Koblet, biondissimo svizzero, con al fianco la maglia tricolore di Fiorenzo Magni, terzo incomodo del ciclismo italiano del tempo. Sono stato decisamente “bartaliano”. Torno ad Aldo Grasso, che commenta «l’invenzione» – così nel testo – di Coppi e Bartali come «i due volti contrapposti dell’Italia: l’Italia contadina e bigotta, e l’Italia progressista e razionalista». Una visione semplificante, e faccio mia la conclusione di Grasso per Bartali: una «figura molto più vera e più complessa di quella tramandataci (…) per lui sport e vita sono stati insieme una grande lezione di rettitudine e di abnegazione» Superga e Giro: non solo calcio, non solo bicicletta, ma vita anche negli anniversari di sciagure che da allora ci dicono come si può andare avanti anche quando appare «tutto da rifare».
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